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RIPORTIAMO IN CENTRO IL COMMERCIO (E LA GENTE)
Con il modello scandinavo è possibile

Il Corso: un centro commerciale da rilanciareIl Corso: un centro commerciale da rilanciareGrazie a uno dei lasciti tecnologici del premio Nobel per la chimica Giulio Natta (inventore del polipropilene ovvero della plastica più utilizzata al mondo), una piccola azienda del Friuli Venezia Giulia esportava (ed ancora esporta) in tutto il mondo impianti produttivi di una certa complessità. Con questa impresa ho collaborato alla realizzazione di impianti “chiavi in mano” e al trasferimento di know-how in tre continenti: Europa, Asia, America. Nei primi anni ottanta del secolo scorso eravamo a Fort Worth, vicino a Dallas nel Texas. L’impianto che stavamo montando sorgeva a poca distanza dalla General Dynamics che allora vi produceva gli aerei F16 (e attualmente vi si montano i discussi Lockeed-Martin F35 che anche l’Italia ha acquistato). Si lavorava anche il sabato mattina, ma al pomeriggio e alla domenica eravamo liberi.

Capitava così di andare, per acquisti o semplicemente per dare occhiata, in uno di quegli enormi centri commerciali che sorgevano praticamente nel deserto. Un immenso e anonimo fabbricato, un parcheggio per migliaia di auto era tutto quello che si vedeva dall’esterno. All’interno, i classici grandi corridoi su cui prospettano decine e decine di attività commerciali, di servizi e di intrattenimento. Li conosciamo bene anche qui ora, ma al tempo dalle nostre parti non c’era nulla di simile. Gli acquisti, la passeggiata, gli incontri per l’aperitivo, si facevano ancora in centro città.

Oggi: centri commerciali
lungo le strade extraurbane; 
centri città sempre più deserti,
nonostante i corsi le piazze,
i portici e i monumenti

Nessuno di noi era entusiasta di questa “scoperta dell’America” e fu allora che uno del gruppo pronunciò le famose ultime parole: ˂˂ Gli americani fanno questi centri commerciali perché non hanno i nostri centri storici, con i corsi, i portici, i monumenti storici. Da noi non li faremo mai! ˃˃. Come è andata a finire lo sappiamo tutti: centri commerciali all’americana lungo le strade extraurbane; centri città sempre più deserti, nonostante i corsi le piazze, i portici e i monumenti. Continue discussioni sul come rivitalizzare i centri storici e riportarvi la gente ma poche soluzioni efficaci. Tanto è che i centri commerciali sono sempre più affollati anche nei giorni festivi e i corsi cittadini desolatamente vuoti.

[zt_blockquotes type="box" author="Ubaldo Muzzatti" extra-class="blockquotes"]In Danimarca un autentico centro storico cittadino ha mantenuto un ruolo emporiale[/zt_blockquotes]Qualche anno dopo, sul finire del secolo scorso, mi trovavo, sempre per Lavoro, a Ikast in Danimarca. Solo questa volta.  Alloggiavo vicino al centro storico che potevo raggiungere a piedi. La prima volta che andai nel corso, la via dei negozi, degli esercizi e della vita sociale cittadina, era già notte, piovigginava e faceva freddo. Seguendo la corrente della gente mi trovai in una via interdetta al traffico e molto affollata. Sui due lati c’erano vetrine di ogni tipo, negozi, ristoranti, pub. Per dimensioni e sviluppo la via principale di Ikast mi ricordava il Corso Vittorio Emanuele di Pordenone. Certo la tipologia dei palazzi è diversa, ma nell’insieme le due strade si assomigliano abbastanza. Qui, però, tutti i giorni, e fino a notte fonda, hanno luogo una variegata attività commerciale e un’intensa vita di relazione.

Un "Centro" con un 
servizio di trasbordo
delle merci dai negozi
ai parcheggi o
alle abitazioni

Ne scoprii la ragione, quella prima sera, quando ero già ben inoltrato nella via. Da un poco non pioveva più e non sentivo nemmeno tanto freddo, però continuavo a chiedermi come facessero i clienti dei locali a stare seduti all’aperto, dopo la pioggia e con il rischio di nuove precipitazioni. Ikast - StrøgCentret Ikast - StrøgCentret A un tratto alzai lo sguardo e vidi che il corso, per tutta la sua lunghezza, era coperto da lastre trasparenti sorrette da un’intelaiatura metallica che poggiava alle parti alte dei fabbricati, sui due lati della via. Il tutto era realizzato in modo discreto e appropriato per non deturpare l’ambiente urbano ed essere quasi del tutto “trasparente”. Vedevo la gente entrare in ogni sorta di negozio, anche di articoli ingombranti, ma nessuno ne usciva con borse o confezioni varie. Il giorno dopo in azienda, mi spiegarono che, in associazione tra di loro, i commercianti avevano organizzato un sistema per il trasbordo delle merci acquistate in appositi box, presso i parcheggi, dai quali i clienti li ritiravano quando riprendevano i loro mezzi. In pratica, dopo l’acquisto, al cliente veniva data solo una chiave numerata e, in pochi minuti, il servizio consortile depositava gli articoli nel box corrispondente, da cui il cliente la ritirava. In alternativa, per chi abitava in centro città, la merce veniva recapitata direttamente a casa, come pure, ovunque, gli oggetti ingombranti. Quando lasciai il corso, c’era meno gente e scoprii ciò che a causa della folla non avevo notato all’arrivo: le bussole a doppi vetri con apertura automatica posta agli ingressi. Queste impedivano le correnti d’aria, permettendo quindi la fruizione del corso come se fosse un moderno centro commerciale all’americana. Ma questo è un autentico centro storico cittadino, che ha mantenuto il ruolo emporiale e di aggregazione, non una lontana e pacchiana imitazione.

Sarà certamente difficile (e magari inopportuno) coprire Corso Vittorio a Pordenone o via Mercatovecchio a Udine, ma nulla vieta di organizzare un servizio consortile di trasbordo delle merci dai negozi ai parcheggi o alle abitazioni, come quello già attivo a Ikast (e chissà in quanti altri posti).

E ciò darà sicuramente un contributo a rivitalizzare il commercio e la frequentazione dei centri cittadini, ora sempre più deserti.