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Dall’Europa un piano per il F.V.G. di quasi 5 miliardi. Guai ad essere impreparati
Pubblicato su "La Vita Cattolica" del 4 giugno 2020

La Vita Cattolica 4/6/2020 - Articolo di Fulvio MattioniCon la proposta di Recovery Fund fatta da parte della Commissione Europea al Consiglio Europeo si completa la strategia complessiva messa in campo dalla UE per fronteggiare la recessione causata dal Covid- 19.
Vi è una novità epocale nella proposta: l’abbandono della strategia dell’ “austerità espansiva” che ha interessato gli ultimi 20 anni dell’azione comunitaria, ottenendo tuttavia un risultato sconfortante.
Quale?
Tantissima austerità ed espansione zero virgola.
Risultato?
La perdita della leadership economica mondiale da parte della UE lasciata agli Stati Uniti ed insidiata dalla Cina.

La nuova proposta adotta una diversa strategia: la “ripartenza inclusiva e solidale”. Ripartenza resa possibile da una enorme spesa comunitaria fatta di garanzie, prestiti e finanziamenti a fondo perduto. Ma una ripartenza anche inclusiva e solidale perché i maggiori beneficiari saranno i Paesi più colpiti dalla recessione.
Il peso finanziario dell’intervento posto in essere dall’UE attraverso i suoi molteplici strumenti (come la Banca Europea degli Investimenti (BEI) e la Banca Centrale Europea (BCE)?
Enorme, come illustra la tabella qui sopra. Sono ben 2.400 i miliardi che entreranno nel circuito economico comunitario entro i prossimi due anni: 1.900 miliardi tra garanzie e prestiti e 500 miliardi di contributi a fondo perduto.

Cliccare per ingrandireLa “fetta” italiana dell’intervento?
40 miliardi di acquisti di debito pubblico italiano; 20 miliardi per i lavoratori a rischio di disoccupazione; 36 miliardi per il settore sanitario e, infine, 172,7 miliardi dal Recovery Fund (di cui 81,8 miliardi “in regalo”). Per un totale che sfiora i 270 miliardi e che fanno dell’Italia il primo Paese beneficiario del Recovery Fund, seguito dalla Spagna.
Quattrini immediati?
Da sprovveduti solo il pensarlo. Perché manca il sì dei 27 Paesi membri UE ed i quattrini che essi debbono versare ma, soprattutto, perché bisogna confezionare un “Piano nazionale per la ripartenza”. Ed è ovvio, anzi, indispensabile che sia così. Non possiamo certo immaginare di incassare subito le risorse e pensare solo in seguito cosa farne!

Facciamo degli esempi.
I 20 miliardi per fronteggiare il rischio di disoccupazione dei lavoratori colpiti dal lockdown da Covid-19 come possono essere utilizzati al meglio?
Per sussidi, per prevenzione, per formazione, per che altro?
O in quale combinazione tra di essi?
Ed i 36 miliardi per il potenziamento del settore sanitario sono più utili per assumere personale medico e infermieristico, per acquistare nuove attrezzature e strutture, per adeguare le case di riposo, per la formazione del personale esistente?
Quali sono, inoltre, le peculiarità regionali degli interventi utili per rinnovare il Welfare sanitario locale e nazionale?

Interrogativi e scelte analoghe riguardano anche il settore delle imprese (turistiche, commerciali, culturali, ecc.).

Un Piano di Ripartenza del Friuli Venezia Giulia! Per non essere impreparati e lasciare ad altri le decisioni che riguardano il nostro territorio.
- Fulvio Mattioni

Per tutti gli interventi, dunque, è inimmaginabile che vi sia una mera erogazione di sussidi temporanei fatta in fretta e furia. Ma bisognerà, anche, allestire il “Piano di ripartenza del Friuli V.G.
Perché?
Perché lo Stato non può fare a meno delle Regioni per confezionare quello nazionale. E perché se la nostra regione avesse l’opportunità di dotarlo di oltre 5 miliardi di (euro)finanziamenti - corrispondenti al suo peso demografico nazionale - sarebbe diabolico farsi trovare impreparati!

La posta in gioco riuscirà a svegliare la politica Fvg dal lungo sonno in cui giace da almeno 30 anni? E quella friulana in particolare?
Un Piano miliardario – di necessità friulicentrico – per farci cosa?
Solo un piccolo assaggino per gradire:
1) una vera riforma sanitaria che attende da 30 anni di essere realizzata;
2) una vera riforma del turismo dopo quella, rovinosa, del 2005;
3) una vera riforma dell’agricoltura che manca da 50 anni;
4) un intervento organico (mai fatto prima) nel settore della cultura e dei beni culturali;
5) una formazione mirata all’inserimento lavorativo dei 70.000 lavoratori inutilizzati in Fvg tra i quali tantissimi giovani;
6) un forte investimento nei settori raccomandati dalla UE;
7) una azione di investimento a favore delle PMI per il decollo delle aggregazioni d’impresa e il loro inserimento in filiere produttive.

Chiedo: la politica regionale che fa, lascia o raddoppia?


 VC20200604_6_Mattioni.pdf (0 kB) La Vita Cattolica 4 giugno 2020