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Articolo di Fulvio Mattioni pubblicato sul Messaggero Veneto del 14 febbraio 2024 con il titolo "Assegno di inclusione - La povertà in Friuli"
2023: anno “nero” per i percettori dell’ex-Reddito di Cittadinanza (RdC) che dal primo gennaio di quest’anno si è trasformato nell’Assegno di Inclusione (AdI). Il RdC, infatti, è stato de-finanziato per oltre 1,4 miliardi di euro (-18,5% rispetto al 2022) e “diradato” con riferimento alla platea dei nuclei familiari e delle persone raggiunti.
Tutto ciò a fronte del tonfo patito dal Pil italico (0,7% nel 2023 rispetto al 3,9% del 2022 e all’8,3% del 2021) ed al conseguente balzo in alto dell’universo degli indigenti (oltre 5,6 milioni nel 2022 a fronte di 1,6 milioni nel 2005). Il suo de-finanziamento risulta ben evidente dalla semplice osservazione della tabella proposta.
Anno |
Importi erogati |
2019 |
3.695.029.948 |
2020 |
6.785.416.581 |
2021 |
8.396.213.286 |
2022 |
7.628.908.405 |
2023 |
6.215.546.356 |
2023-2022 |
-1.413.362.049 |
2023-2022 |
-18,5% |
Aumento degli indigenti si badi bene – non dei poveri che vivono al di sotto della soglia di povertà relativa – ovvero dei più poveri tra i poveri identificati come tali da parametri reddituali miserrimi.
Si è voluto “fare cassa” sugli indigenti mettendo mano alla decurtazione del sostegno agli “occupabili” di ben 5 mesi nel 2023, dai 12 mesi del 2022 ai 7 del 2023.
Come?
Manomettendo la definizione di “occupabilità” che la UE e l’OCSE considera occupabili coloro che negli ultimi 2 anni hanno avuto qualche rapporto di lavoro ancorché precario o occasionale. Definizione burocratico-statistica dalla quale giammai consegue - per l’Europa e l’Ocse - che gli occupabili non siano poveri poiché tale stato dipende dal reddito percepito.
La manomissione del RdC fatta dal Governo Meloni?
L’occupabile è colui che vive in una famiglia senza minori, senza disabili e senza over-sessantenni per cui non rileva se ha lavorato un solo giorno negli ultimi due anni e sia così diventato indigente. La povertà non viene identificata, come accade nel resto del mondo, dalla inadeguatezza del reddito guadagnato. Che, in Italia, è causata dall’espansione del lavoro povero e/o precario patita negli ultimi 20 anni ed attestata, anche, dal primato nostrano raggiunto in ambito europeo nella quantità di part-time involontario utilizzato dall’economia, dai quasi 4 milioni di lavoratori non tutelati da alcun contratto nazionale di lavoro, dalla proliferazione del contratti nazionali “fai da te” (per un totale di oltre 1.200!) e da forme contrattuali di lavoro “goccia a goccia” come, ad es., quello intermittente (triplicati i contratti attivati tra il 2014 ed il 2023) e quello stagionale (raddoppiati in 10 anni).
Risultato finale?
La diminuzione delle ore lavorate nell’economia italiana e nel nostro Fvg. La realtà, insomma, è che la numerosità dei lavoratori occupati è simile a quella del 2007 (anno pre-Grande Crisi) ma è altresì reale che lavorano meno ore e guadagnano meno. Come confermano le statistiche comunitarie riferite all’evoluzione del reddito medio annuo degli ultimi 20 anni calato, in termini reali, solo in Italia e Grecia.
Le conclusioni che se ne traggono? Almeno tre.
La prima è che la povertà è un frutto amaro della scarsità di lavoro e del suo impoverimento che dalla “Grande Crisi” in poi ha colpito con più intensità addirittura il laborioso Nord-Est ed il ricco Nord-Ovest rispetto al Centro ed al Mezzogiorno del Belpaese. La povertà, dunque, non è imputabile ad un presunto “poltronismo” degli italiani poiché, se fosse così, come spiegare la centralità assunta dal suo fronteggiamento nella politica comunitaria da 25 anni a questa parte? I risultati raggiunto dalla politica comunitaria? Non si è festeggiato il suo azzeramento nel 2010 come sperava la UE in avvio del millennio, ma i Paesi dell’Est Europa e la Germania, ad es., hanno ottenuto ottimi risultati mentre l’Italia, all’opposto, è stato leader negativo. Il motivo? Essere a lungo rimasta sorda ai pressanti inviti comunitari ad introdurre una misura di fronteggiamento ad hoc - il RdC parte appena il 1° aprile 2019 – e, venendo all’attualità, avendola indebolita poco tempo dopo.
La seconda conclusione rileva che nel biennio 2023-2024 non c’è stata l’auspicata “resilienza” attesa dall’utilizzo delle risorse veicolate dalla strategia Next-Generation EU”. Che, tuttavia, ha conseguito la “ripresa” dalla crisi pandemica del 2020 come evidenziato nei numeri proposti all’inizio. Per l’Italia, infatti, il 2023 si chiude con un Pil al più 0,7%, per il Fvg con una crescita inferiore e per il Friuli con una stagnazione. Il 2024, purtroppo, non sarà migliore posto che le stime di questi giorni propongono addirittura una limatura del magro +0,7% del Pil italiano ipotizzato qualche settimana fa. Ciò si rifletterà sul numero degli indigenti del 2023 (che l’Istat rendiconterà a giugno) con un aumento superiore a 500mila unità e che si ripeterà nuovamente nel 2024. Dati terrificanti (ahinoi!) nonostante scontino un discreto ottimismo.
La terza conclusione invita ad apportare due revisioni profonde dell’AdI: da un lato, un suo cospicuo ri-finanziamento dovuto al dimezzamento del tempo di residenza richiesto agli stranieri per l’accesso alla misura (ndr: imposto dall’UE la riduzione da 10 a 5 anni) che aumenterà i beneficiari stranieri e alla cancellazione della irrealistica interpretazione del concetto di occupabilità visto poc’anzi. Dall’altro, il coinvolgimento dei Comuni - mediante loro opportune aggregazioni - motivato della più adeguata conoscenza delle caratteristiche dei beneficiari e delle opportunità di inclusione sociale e lavorativa presenti nei loro territori.
Infine, una proposta finale che riguarda il nostro Fvg ed ha come finalità quella di recuperare il suo ruolo di pioniere/innovatore già svolto, in passato, con la l.r. 15/2015 che ha introdotto una “Misura di inclusione attiva e di sostegno al reddito” che ha il merito di aver anticipato la sperimentazione nazionale del Reddito di Inclusione ed il varo del RdC.
Come farlo?
Attraverso l’innovazione ed il rafforzamento dell’intervento nazionale grazie, anche, alla dovizia attuale finanziarie regionali.
Con quali modalità?
Con il varo di una legge che istituisce un fondo di 50 milioni capace di mitigare il fenomeno nostrano (ben 200mila i corregionali a rischio di povertà), che affida un ruolo di regia e di verifica alla Regione Autonoma Fvg e che prevede un protagonismo gestionale agli Ambiti socio-assistenziali.
Risultato finale atteso?
Una specialità Fvg inclusiva e coesa, da imitare.
Non è una sfida doverosa da raccogliere ed approfondire?
- Redazione
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Articolo di Fulvio Mattioni pubblicato sul Messaggero Veneto del 9 gennaio 2024 con il titolo "Le Priorità Della Specialità"
Ha preso piede un dibattito sul Nordest italiano che merita di essere approfondito con dati ufficiali che aiutino a capire sia la sua reale performance economica che quella delle regioni che lo compongono al fine di capire meglio le politiche di sviluppo del nostro Friuli Venezia Giulia.
Iniziamo considerando i recentissimi dati resi disponibili dall'Istat sull'evoluzione del reddito prodotto dall'economia (Pil) nel periodo 2002-2022 e nel sottoperiodo 2008-2022 (assai più burrascoso) che ha lasciato un impatto profondo non solo nell'economia ma anche sulla demografia, sul mercato del lavoro e nel sistema del Welfare (Sanità in primis).
Ebbene, come possiamo verificare dalla tabella proposta, il Nordest rimane la macro-area italiana più dinamica del Belpaese ancorché con una intensità inferiore a quella del trentennio 70-90 dello scorso secolo.
L'evoluzione del suo Pil, infatti, non solo è positiva ma è anche nettamente migliore del dato medio italiano e delle altre macro-ripartizioni italiane.
Lo è sia che si consideri l'intero periodo 2002-2022 sia il sottoperiodo 2008-2022: nel primo caso il Nordest cresce del 12,1%, ovvero più del doppio del dato medio nazionale (5,5%), più del Nord-Ovest (9,7%), più del Centro (3,9%) e più del Mezzogiorno (-5,5%).
Nel secondo arco temporale [2008-2022] – che incorpora la "Grande Crisi" 2008-2014, la "ripresina" 2015-2019, lo "shock pandemico" 2020 e la "ripartenza" 2021-2022 sospinta dall'espansiva strategia comunitaria Next Generation EU – il Nordest cresce del 4,5% a fronte di un 3,7% del Nord-Ovest e di un calo del Centro (-4,3%) e del Mezzogiorno (-7,6%).
Il 2023 e il 2024 pongono pesanti ipoteche sulla raggiungibilità della auspicata "resilienza" della crescita economica – ovvero sulla sua durata nel tempo a ritmi intensi grazie agli investimenti strutturali posti in essere – cifrandosi in un aumento del Pil nazionale che è dello 0,7% nel 2023 e dello 0,7% nelle previsioni del 2024. La resilienza economica attesa, invece, era decisamente superiore dopo il buon rimbalzo del Pil del 2021 (+8,3%) e il +3,7% del 2022. Ed il dato nostrano non sarà migliore di quello medio italiano.
Come si comportano le quattro economie regionali del Nordest? Limitando l'analisi al solo periodo 2008-2022, si ha che il Trentino Alto Adige cresce del +15,5% (primo nella classifica delle 20 regioni nostrane), l'Emilia Romagna è terza (+5%) ed il Veneto è quinto (+2,5%). Il nostro Friuli Venezia Giulia? Negativo: -1,1%, risultato che media la crescita realizzata dalla ex-provincia di Trieste e la forte decrescita di Udine, superiore a quella patita dal nostro Mezzogiorno, performance che si completano con il più leggero calo delle ex-province di Gorizia e di Pordenone.
Risultato complessivo nostrano che trova spiegazione nella ritrovata missione terziaria di Trieste – all'interno della quale quali rilevano il quasi raddoppio delle sue presenze turistiche e la valorizzazione del suo porto – e la deindustrializzazione patita dalla ex-provincia di Udine.
Quali politiche di sviluppo del Nordest?
Per definirle rilevano 3 fatti:
1) le 4 regioni "pesano" assai diversamente (sia economicamente che politicamente) all'interno della macroarea Nord-Est (molto di più l'Emilia Romagna ed il Veneto molto meno il Friuli Venezia Giulia ed il Trentino Alto Adige);
2) che sono in concorrenza tra di loro soprattutto dal versante manifatturiero;
3) il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige, essendo "speciali", sono abituate a fare da sole e che le altre due regioni ordinarie vedono come fumo negli occhi le "speciali".
La conseguenza?
Ogni regione del Nordest pensa per sé e che vi sono interessi decisamente confliggenti.
Che fare, dunque, per il nostro Friuli Venezia Giulia?
Il compito prioritario è rilanciare il Friuli mentre la ex-provincia di Trieste lo sta già facendo (con successo). Per rilanciare il Friuli e le provincie di Udine e Pordenone serve un rilancio del manifatturiero che ha particolarità di pagare buone retribuzioni e di assumere personale qualificato (diplomati e laureati nostrani) che altrimenti cerca un futuro all'estero come dimostrano le statistiche sugli espatriati.
L'auspicio finale, dunque?
Che la specialità del Friuli Venezia Giulia valorizzi tutte le potenzialità di crescita non limitandosi ad andare a traino di un Nordest e che investa su un Friuli dal manifatturiero sostenibile ambientalmente invertendo la recente tendenza che:
1) ha bocciato l'investimento multimiliardario del gruppo internazionale Metinvest-Danieli;
2) ha negato l'investimento pubblico sull'unico porto industriale del Friuli Venezia Giulia (porto Nogaro, nell'area industriale dell'Aussa-Corno) e che
3) dedica la miseria di un milione di euro per attrarre imprese nel nostro Friuli Venezia Giulia.
La priorità per la nostra autonomia speciale, dunque?
Il Friuli protagonista nel Nordest. —
- Redazione
- Articolo
Articolo pubblicato da Roberto Muradore sulla Vita Cattolica del 4 gennaio 2024 con il titolo
Prospettive per un il 2024 tra difficoltà e opportunità da sfruttare
La specialità per rilanciare il Friuli e la sua economia
Lo ripubblichiamo dal sito del settimanale La specialità per rilanciare il Friuli e la sua economia | La Vita Cattolica
Il futuro è da sempre carico di incognite e sorprese e in questa fase del tutto inedita prende corpo un di più di incertezza e di imprevedibilità che troppo spesso diventa addirittura paura.
Anche il 2024, quindi, ci farà vivere novità che sareb be sciocco voler “predire”. Come afferma Lucio Dalla nel suo famoso pezzo “L’anno che verrà”, è, però, opportuno attrezzarsi per affrontarlo. L’ultimo verso della canzone, infatti, recita così: “Io mi sto preparando, è questa la novità”.
Ma come prepararsi?
A parere mio leggendo correttamente il presente e, proprio grazie ad una sua onesta valutazione, dandosi aspettative possibili e formulando progetti utili e fattibili perché fondati e improntati a un sano principio di realtà.
Questo approccio dovrebbe valere per le persone e ancor di più per la politica che, altrimenti, scade nella oramai dilagante e insopportabile propaganda.
Basta con lo storytelling!
Chi governa edulcora la situazione giudicandola addirittura positiva e troppo spesso l’opposizione si limita a denunciare le cose che non vanno.
E nella nostra regione come stanno le cose?
Molto brevemente solo alcune questioni.
- È noto a tutti che i problemi economici e sociali non manchino e che nella ex provincia di Udine siano particolarmente acuti a causa dello stato in cui versa un manifatturiero da anni in affanno e la cui situazione si sta ulteriormente aggravando.
Le crisi aziendali che il sindacato deve affrontare si stanno moltiplicando.
Essendo l’industria il fulcro dell’economia e del lavoro friulano, essa va sostenuta con convinzione. Pare, invece, che la politica nostrana si sia innamorata del turismo che, come noto, concorre davvero molto poco alla creazione del Prodotto Interno Lordo (Pil) locale e che, a differenza del manifatturiero, è caratterizza to da lavori instabili, precari, ben che vada stagionali e comunque troppe volte mal pagati. Ho usato il termine mal pagati e non sotto pagati non perché i salari siano buoni, anzi, ma per ché è un settore nel quale il lavoro nero è, purtroppo, una realtà.
La vicenda della ipotizzata acciaieria a San Giorgio di Nogaro, inoltre, ha ben evidenziato una crescente attenzione, per altro positiva e necessaria, ai temi ambientali e ha, però, alimentato, non so quanto involontariamente, un preoccupante sentimento anti industriale. E la politica non ha ben figurato in quanto una parte ha tenuto un comportamento contraddittorio e l’altra era come “bloccata”. Al netto dell’acciaieria non realizzata, mi preme ricordare che quella di San Giorgio di Nogaro è e resta una importante zona industriale che va potenziata e migliorata nelle sue infrastrutture per facilitare le imprese che già vi insistono e per renderla attrattiva per nuovi investitori. O non serve più lavoro industriale tutelato contrattualmente, retribuito decentemente e puntualmente?
Se la Regione non dovesse provvedere a stanziare le risorse necessarie a tal fine paleserebbe il suo disinteresse per il manifatturiero e, anche considerando i suoi impegni in altri territori, mancherebbe di rispetto al Friuli.
Ancora, non è accettabile che ci si arrenda all’idea che il declino economico sia ineluttabile.
Le imprese, anche quelle che offrono condizioni contrattuali sufficienti o buone, a volte non trovano personale? Si spinga di più su una formazione da progettare con le imprese e che alla fine del percorso dia una reale occupazione. Formazione in aula e nei luoghi di lavoro che dia una prospettiva agli “sfiduciati” nostrani e che coinvolga anche gli immigrati poi ché senza il loro concorso le aziende non ce la possono fare. Non è per nulla detto, infatti, che gli immigrati possano fare solo quei lavori umili (?) che gli italiani non fanno più.
Le tante risorse che la regione ha avuto e che avrà a disposizione dovrebbero, sempre a parer mio, essere utilizzate non solo in bonus e altri interventi parcellizzati, ma per iniziare a dare soluzioni strutturali e durature. Per fare ciò ci vuole un’idea di Regione che, però, non c’è ancora. La nostra è una Regione a Statuto speciale e potrebbe davvero legiferare bene e in modo organico su tante materie quali l’ambiente, l’energia, l’acqua, l’agricoltura, il lavoro, la povertà, l’industria, ecc…. La specialità va pensata e praticata, non predicata. Vedo e sento sempre più spesso, invece, scrivere e parlare di Nord Est. A dir la verità, così come non avevo capito cosa fosse la Padania, non riesco a comprendere neppure questo fantomatico Nord Est che mi pare metta insieme territori e regioni sì vicini geograficamente ma assai diversi culturalmente, socialmente ed economicamente.
Chiudo con l’auspicio che si arresti al meno in parte l’emigrazione dei nostri giovani fuori regione o all’estero. I giovani friulani non sono sfaticati, come vorrebbe un diffuso luogo comune, e con i loro trolley partono perché qui non trovano occasioni d’impiego adeguate. Neppure decenti.
Mi fanno venir in mente, sebbene le condizioni siano assolutamente diverse (infatti allora partivano con improbabili valigie), il “libars di scugnî lâ” di Leonardo Zanier.
La classe dirigente locale deve sul serio rimboccarsi urgentemente le maniche ed operare perché, come recita il penultimo verso della canzone di Dalla, “l’anno che sta arrivando tra un anno passerà”.
E sono tanti, troppi gli anni già persi.
Roberto Muradore
ex sindacalista
- Fulvio Mattioni
- Articolo
L'"Agenda Terasso" del 7 dicembre ha discusso i diversi aspetti della situazione economica del Friuli e delle sue prospettive. Della trasmissione, che consigliamo di vedere nella sua completezza, estraiamo alcune considerazioni dagli interventi di Fulvio Mattioni.
Hanno partecipato al dibattito Tommaso Cerno, Adriano Luci, Alessandro Gavagnin, Walter Zoccolan e Piera di Leonardo,
Mattioni.
Allora io comincio dicendo - grazie come il racconto di Pennac, se voi lo ricordate - dove in realtà non sono un professore ma sono uno che da 40-45 anni, si occupa di Friuli Venezia Giulia dicendo questo: "Beh, lo scenario qual è?".
Lo scenario è che nel 2023 cresceremo - come Italia - dello 0,7% e dello 0,7% - come Italia - nel 2024. Quindi una roba tristissima. Perché, se facciamo i confronti, il 2022 e il 2021 crescono rispettivamente del 3,7% e dell'8%, quindi vuol dire che abbiamo imbroccato la ripartenza, però non abbiamo imbroccato, diciamo, la sostenibilità che noi tutti speravamo.
Il Friuli Venezia Giulia - rispetto allo scenario - è inferiore. Complessivamente di poco, ma con una divaricazione forte tra Trieste in cui per fortuna sua, per bravura sua (io la invidio, non mi da fastidio, sono bravi) si cresce, mentre il Friuli decresce.
La provincia di Udine fa specie: vorrei descriverla così, in termini fumettistici: un "patasgnàchete”. Per dire che sta nel 2008-2022 per un -13,3% del valore aggiunto dell'economia, che vuol dire peggio del mezzogiorno d'Italia ( meno 10%) peggio del Friuli, meno 5,5%, ovviamente peggio di Trieste che invece cresce del 6,7%.
In tutta questa cosa è chiaro che la decrescita del reddito prodotto dall'economia è dovuto alla deindustrializzazione che coinvolge il nostro FVG. Vorrei dire soltanto questo, se mi permettete. La crescita dell'industria – e del manifatturiero in particolare - è stata quella che ha determinato il passaggio dal sottosviluppo al benessere del Friuli Venezia Giulia. Negli ultimi vent'anni ha fatto la cosa contraria, nel senso che noi all'industria- e alla manifattura in particolare - diamo un significato più negativo. Aggiungo che negli ultimi vent'anni c'è stata una rottamazione culturale, sicuramente del settore manifatturiero, alla quale dovremmo porre, come dire, argine e fine, raccontando come stanno effettivamente le cose.
(...) [sulle competenze nel lavoro] no, non sono pessimista, sono uno che fa i conti coi dati. I dati sono che nel primo semestre - quelli più aggiornati, fra qualche giorno avremo quelli, diciamo ancora più aggiornati - e nell'industria e nella manifattura del Friuli Venezia Giulia sono scomparsi 10.000, oltre 10.000 addetti. Quindi a me francamente sto discorso che sta facendo Luci [nell'intervento precedente], mi sembra qualcosa di assolutamente soggettiva.
(...) [sull'occupazione] Diciamo che il problema vero è che noi abbiamo occupati più del del 2007, ma abbiamo molte meno ore di lavoro lavorate, cioè distribuiamo miseria tra le stesse persone. Questo è il punto vero, in particolare nel settore manifatturiero, dove le ore lavorate son calate del 20%.
(…) La Cisl dice che ci sono 15.000 persone a rischio del posto di lavoro nel suo osservatorio
[Sulla via della seta] io ho niente da dire, però diciamo. Sempre la via della seta se n'è andata, amen. E il punto vero è questo, il Friuli Venezia Giulia ha qualcosa da dire, dal punto di vista industriale, o meno? Qui il dibattito è "vivremo di turismo che rappresenta circa il 4% del PIL regionale e dei bottegai che rappresentano qualcosa di equivalente"? Diciamo: noi, abbiamo un assessore regionale, che io chiamerei un assessore regionale al turismo punto le attività produttive non rappresenta nessuno.
(...) Le proposte che farei:
- Uno: noi abbiamo bisogno di un osservatorio che monitora le imprese del manifatturiero. E che ne censisce le necessità. Quindi mancano? ce ne servono? dobbiamo completare le filiere? dobbiamo acquisire professionalità? Eh, voglio dire, se non sai di che cosa parli è inutile che parliamo del mondo. Dobbiamo parlare di noi!
- Due: uno strumento di governo del settore con la presenza delle forze sociali, chiamatelo come volete. Però diciamo, una struttura del genere secondo me è importante. (…) abbiamo osservatori, ma osservatori che non osservano niente, facciamo un osservatorio con delle persone interessate ad osservare! Questo è il punto vero. (...) [Acciaierie] rifiutate in Friuli Venezia Giulia con il silenzio del Sindacato. E Il sindacato adesso? E adesso se ne va, con comitati contrari che non rappresentano l'interesse collettivo.
- Terzo punto: un piano triennale di rilancio manifatturiero. Dobbiamo dire cosa vogliamo io sono per una manifattura sostenibile, così come per l'impianto Danieli in Aussa Corno ero per dire: facciamo gli studi. Si facciano gli studi, ognuno dica la sua sulla base delle sue competenze. E questo è venuto fuori, che “Si può fare”. Beh, allora perché non l'abbiamo fatto? Prendiamo questo come esempio, però per il futuro, per dire “questa cosa qui è stata per noi una sconfitta, facciamo una cosa per il futuro”.
- Collegato a questo, un piano triennale di formazione adeguato alle esigenze di questa industria che si ricollega
- Ultimo e chiudo un piano di comunicazione delle opportunità degli stipendi pagati, perché qui quello che non si dice, ma quello che è vero, è che il manifatturiero, assieme al terziario pubblico, è quella che paga gli stipendi più elevati e stabili nel tempo, che sono quelli che ci permettono di trattenere i nostri figli e nipoti qui in Friuli
(...) Sono assolutamente d'accordo sull'ultima battuta [sul dovere di programmare da parte] dell'Italia, ma non mi sento di suggerire niente alla signora Meloni. E per il Friuli Venezia Giulia, visto che abbiamo l'autonomia speciale, e per questo benedetto Friuli: insomma, mettiamoci qualcosa vicino, perché comunque la provincia di Udine, la provincia di Pordenone, ultimamente mi pare che stanno soffrendo parecchio dal punto di vista industriale.
- Redazione
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I
l Nord-Est italiano soffre più di altre macro-ripartizioni dei patimenti manifatturieri (+21,3% della cassa integrazione e guadagni, Cig in acronimo d'ora in poi) mentre a livello nazionale la Cig cala del 15,5% nel confronto tra il periodo gennaio-settembre 2023 rispetto all'analogo periodo del 2022.E il nostro Friuli?
Beh, la prima tabella proposta non lascia dubbio alcuno: molto peggio di tutti, purtroppo!
E il risultato complessivo negativo è interamente imputabile alla pessima performance delle provincie friulane di Udine (+58% della Cig) e di Pordenone (+55,6%). Largamente positivo, invece, quello della ex-provincia di Trieste (-29,7%) e Gorizia (-40,9%). Non a caso, infatti, nel periodo gennaio-giugno (dati Istat) la manifattura del nostro Friuli Venezia Giulia ha perso oltre 10mila occupati concentrati, guarda caso, nell'area friulana ed udinese in particolare. Nell'indifferenza della Giunta Regionale, dell'Assessore competente e della politica e degli attori sociali locali. E nonostante l'invito da noi fatto a sottolineare che «l'industria viene giù» e che, quindi, bisogna contrastarne la caduta con una azione significativa quale uno sciopero generale perlomeno di livello provinciale se non di area friulana.
Davvero la situazione è così grave?
Giudicate voi ponendo attenzione al confronto posto in essere tra la Cig erogata nel 2009, nel 2019 e nel biennio 2022-2023, cioè negli anni di entrata nelle Grande Crisi (2009), in quello di fine della mini-ripresina (2019) del reddito regionale sperimentata nel quinquennio precedente, nell'anno 2022 e nel 2023, anno di una auspicata resilienza nel 2023 che non c'è stata, come appare oramai certo. L'aumento del reddito dell'economia Fvg, infatti, si attesterà sotto il tetto dell'1%, quello della ex-provincia di Udine, con ogni probabilità, si collocherà al di sotto dello 0% mentre la ex-provincia di Pordenone farà appena un poco meglio!
- Redazione
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Articolo di Fulvio Mattioni pubblicato l'11 ottobre 2023 con il titolo "Occasione persa a Porto Nogaro - Bisogna monitorare il lavoro in rFiuli"
Come?
Realizzando il “Progetto integrato di infrastrutturazione industriale, capacità logistica e implementazione dell'accessibilità al porto di S. Giorgio di Nogaro” (d’ora in poi Progetto Integrato).
Perché Porto Nogaro?
Perché è l’unico porto industriale del nostro Fvg, peculiarità già attestata dal Piano Regionale integrato dei Trasporti (1988) e ribadita nel Piano Regionale delle Infrastrutture di Trasporto (2012). “Questi Piani segnalano la necessità di intervenire in quell’area esattamente allo stesso modo in cui abbiamo immaginato l’intervento di infrastrutturazione nel 2022 (con l’art.2 di cui sopra, ndr), l’unica differenza è che rispetto a 40 anni fa lo abbiamo fatto nella prospettiva di un investimento industriale reale (il progetto Adria, ndr). Come dire, in questi 40 anni i problemi dell’Aussa-Corno sono rimasti gli stessi, la necessità di sviluppare il porto dragando e portando i fondali a 9 metri e mezzo è addirittura prevista nel Piano del 1988. Verrebbe da dire che ciò che deve preoccupare non è che oggi si riparli di questi interventi ma che fino ad ora non siano mai stati realizzati.” E, inoltre “… qualsiasi decisione sulla possibilità di realizzare un insediamento siderurgico … non poteva che conseguire alla definizione di approfondimenti tecnico-scientifici volti a comprendere il possibile impatto di un insediamento siderurgico nel contesto ambientale dato”. Il corsivo virgolettato riporta le frasi salienti di quanto detto dall’Assessore regionale alle attività produttive in un suo intervento del luglio 2023 in Consiglio Regionale.
E poi, cosa è accaduto?
Il 1° settembre è stata approvata una Generalità di Giunta (il cui valore giuridico, come dice il nome, è prossimo a quello di un post-it) che ha “cestinato” il progetto Adria perché “troppo complesso”, come ha spiegato l’Assessore Bini. E poi, ancora, ha detto (su questo giornale, il 21 settembre), che “l’infrastrutturazione dell’Area è troppo costosa”; che “la sua realizzazione avrebbe tempi biblici”; che “il progetto Adria non risulta inquinante. Su questo non avevamo dubbi”; che “si investirà comunque anche per attrarre nuove imprese all’interno della Ziac”.
Ė davvero eccessivo il costo (250 milioni) dell’infrastrutturazione dell’unico porto industriale del Fvg ancorché in ritardo di 40 anni? Troppo costoso rispetto ai 460 milioni che si spenderanno per il porto di Trieste? O ai 170 milioni previsti per i nuovi uffici regionali a Trieste? O ai 56,9 milioni per la contestata cabinovia Trieste-Opicina?
Passiamo ai presunti tempi biblici delle opere infrastrutturali del porto industriale friulano: solo 3 anni secondo gli studi presentati, un tempo cha andrebbe a braccetto con la realizzazione del progetto Adria!
Andiamo oltre: si investirà per attrarre nuove imprese? Solo dei folli potrebbero scegliere di localizzarsi nella Ziac dopo che due multinazionali hanno perso oltre 2 anni e mezzo di tempo per vedere cestinato il loro progetto in carenza di motivazione e di una opportuna infrastrutturazione dell’area.
Da ultima viene l’audizione del Consiglio Regionale del 21/9 dove sono stati illustrati gli studi commissionati dalla Regione Fvg ed il cui risultato eclatante è che il progetto Adria non è affatto … un ecomostro! Con lui o senza di lui, infatti, l’impatto ambientale derivante dalla struttura industriale attiva nella Ziac (tra le quali 6 imprese siderurgiche) rimarrebbe lo stesso. Cioè al di sotto dei limiti imposti dalle varie normative che tutelano l’area, i Comuni viciniori e l’ambiente naturale. Mostruosa, invece, l’opportunità persa!
Tiriamo le fila dell’esperienza fatta perché gravida di ipoteche sulla prospettiva economica nostrana.
I punti salienti?
Primo. Un processo decisionale “carsico” che si conclude con una Generalità post-it e senza un voto del Consiglio Regionale.
Secondo. Una chiamata in causa degli ignari Sindaci del territorio interessato (ignari perché non informati dei risultati degli studi) e che sarebbe stato opportuno lasciar lavorare per il benessere dei loro Comuni.
Tab. 1 - Il Benessere Economico Comunale in Fvg: la quota di contribuenti più poveri (reddito annuo inferiore a 10mila euro), anno 2020
Comune |
Contribuenti “più poveri” (quota %) |
Classifica comunale |
Porcia |
18,3% |
1° |
San Vito al Tagliamento |
21,0% |
31° |
San Giorgio di Nogaro |
21,9% |
46° |
Pavia di Udine |
22,1% |
49° |
Buttrio |
23,0% |
73° |
Marano Lagunare |
27,3% |
168° |
Grado |
28,1% |
180° |
Latisana |
28,6% |
183° |
Sappada |
29,5% |
188° |
Sauris |
30,7% |
191° |
Forni di Sotto |
30,9% |
195° |
Forni di Sopra |
32,2% |
202° |
Lignano Sabbiadoro |
34,7% |
209° |
Forni Avoltri |
35,6% |
212° |
San Giorgio della Richinvelda |
36,1% |
213° |
Drenchia |
45,8% |
215° |
Fonte: elaborazioni RilanciaFriuli su dati Ministero Economia e Finanze, 2023
Dalla tabella proposta - che ordina i Comuni del Fvg in base alla quantità di contribuenti che hanno dichiarato un reddito Irpef inferiore ai 10mila euro annui - balza agli occhi, infatti, che i contribuenti meno benestanti sono assai più numerosi nei Comuni turistici del Fvg rispetto a quelli industriali. Il Comune di Lignano Sabbiadoro, ad es., si colloca al 209esimo posto - sui 215 Comuni totali – in quanto più di 1 contribuente su 3 dichiara un reddito inferiore alla soglia di povertà. A Latisana sono il 28,6% e a Grado il 28,1%, collocandosi rispettivamente al 183° ed al 180° della classifica. Comuni che dovrebbero essere trainanti della Bassa Friulana (area composta da una trentina di Comuni) la quale, però, ha un reddito pro-capite di quasi un terzo inferiore a quello medio della ex-provincia di Udine e Regione Fvg.
A chi la palma del Comune più benestante, invece? All’’”industrializzato” Porcia con appena il 18,3% di contribuenti under-10mila euro annui, seguito dagli industrializzati San Vito al Tagliamento (21%) e San Giorgio di Nogaro (21,9%).
Terzo. Poiché i risultati derivanti dagli studi commissionati dall’A.R. non sono stati tenuti in alcun conto (contrariamente all’intento originario), umilia l’”umiliazione” patita dalle Università di Udine e di Trieste e, più in generale, dalla razionalità che informa il metodo scientifico.
Quarto. Emerge in modo traslucido l’inerzia della classe dirigente dell’udinese che ha taciuto sull’opportunità (perduta) di attrezzare l’unico porto industriale del Fvg e di ospitare un investimento pluri-miliardario capace di farne un polo siderurgico di livello europeo. Stravedendo, invece, per un futuro “bottegaio” e turistico che non ha fondamento alcuno. Le imprese commerciali della provincia di Udine, infatti, sono calate dalle 10.155 del 2009 alle 8.439 del 2022 (-16,9%) ed il peso del settore turistico negli ultimi 20 anni non eccede il 4% del reddito prodotto dall’economia regionale. Che vi sia in atto un silente Progetto anti-Friuli?
Quinto. La Ziac diventa repellente per gli investitori industriali nazionali ed internazionali dopo la “bocciatura” immotivata delle multinazionali Metinvest e Danieli e l’opinione di Bini di non infrastrutturarla adeguatamente.
Sesto. Può avere futuro una reindustrializzazione ambientalmente sostenibile in Friuli?
Ecco la proposta di RilanciaFriuli.
Un programma di attività volto a rendicontare - e condividere pubblicamente, con costanza - la realtà economica, mercato-lavoristica e sociale del nostro Friuli.
In modalità “anti-Bla Bla Economy” e in “chiave Rilancia Friuli”. (Trieste ha già realizzato il suo RilanciaTrieste e, pertanto, potrebbe essere un utile insegnante oltre che partner).
Si richiede una manifestazione di interesse alla proposta e di condivisione dei contenuti da parte di tutti coloro che non vogliono rassegnarsi alla minorità del Friuli né ad una neghittosa inerzia.
Fulvio MATTIONI, RilanciaFriuli