- Fulvio Mattioni
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Intervento pubblicato su "La vita cattolica" del 4 novembre 2021 con il titolo MATTIONI, VOCE CRITICA - «Stop alla decrescita infelice. Con Go e Pn emuliamo Trieste»
L’economista guarda con preoccupazione alla situazione del territorio dell’ex provincia di Udine e vede nella crisi della leadership di Confindustria Udine un segnale di questa debolezza. Debolezza che, secondo Mattioni, non potrà essere riscattata neppure dalla presidenza Benedetti. «Resterà comunque il problema – afferma – di un territorio udinese che non riesce a dialogare con il resto del Friuli e tantomeno con Trieste, probabilmente perché ha perso importanza economica, ma anche politica».
Da cosa dipende questa debolezza?
«Dal fatto – risponde Mattioni – che non c’è più una visione del Friuli da parte di Udine. Mentre fino agli anni’80 era Confindustria Udine a dettare il piano di politica industriale della Regione».
Quanto al patto per il Friuli avanzato dalle categorie economiche, «non mi pare abbia in questo momento un ruolo. Doveva essere un patto per il Friuli, ma era composto soltanto da forze sociali dell’ex provincia di Udine. Inoltre non ha chiamato a raccolta la politica del Friuli. Quanto ai contenuti, non è un documento programmatico con indicazione di obiettivi e progetti legati a tempi, risorse e soggetti attuatori».
Come superare allora la «decrescita infelice del Friuli»?
«In primo luogo – afferma Mattioni – è necessaria un’alleanza tra le ex province di Udine, Gorizia e Pordenone, non come atto di estraniazione dalla regione, ma come presa di coscienza che il nostro è il territorio più debole da sostenere. Invito a emulare il modello Trieste, in cui tutte le forze politiche e sociali pensano al benessere della società e del territorio».
Su che puntare?
«Dobbiamo rilanciare il manifatturiero, che ha perso quasi un quarto delle ore lavorate nel periodo 2008-2020. E dev’essere rilanciato anche il turismo. In questi anni solo la città di Trieste è cresciuta molto, del 50%. E poi il rilancio di un’agricoltura di qualità, evitando, ad esempio, di utilizzare i terreni agricoli per impianti fotovoltaici».
Serve, quindi, secondo Mattioni, un’idea di sviluppo che non può essere basata solo sulle infrastrutture, ma deve prima di tutto puntare a far nascere o far arrivare nuove imprese («dal 2008 ne abbiamo perse 6.100») per far lavorare le 80 mila persone che vorrebbero lavorare, ma non possono, e per i nostri giovani che continuano ad andarsene dal Friuli.
- Redazione
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Sulla situazione attuale del Friuli e sul suo futuro si è sviluppato sulla stampa locale, nel mese di ottobre, un dibattito franco e aperto.
Per affrontare questi temi RilanciaFriuli vi invita alla TAVOLA ROTONDA
"Oltre la Decrescita Infelice e la Bla Bla Economy, per il Friuli"
che si terrà
MERCOLEDÌ 3 NOVEMBRE 2021 ALLE ORE 18:00
nella sede di Palazzo Antonini Belgrado, Udine
La tavola rotonda intende dar spazio a diverse visioni e proposte che intendano superare una situazione di decrescita effettiva. Suggerire linee di azione praticabili basate su prospettive concrete è il modo per far emergere un rilancio possibile per il Friuli.
Per ricapitolare la discussione in atto, alleghiamo un dossier con alcuni dei principali interventi.
Intervengono:
- Piero Mauro ZANIN, Presidente Consiglio Fvg
- Ferruccio SARO, Già senatore
- Maria Grazia SANTORO, Consigliere regionale Fvg
- Massimo MORETUZZO, Consigliere regionale Fvg
- Fulvio MATTIONI, Economista RilanciaFriuli (Relazione tecnica)
- Furio HONSELL, Consigliere regionale Fvg
Modera:
- Giacomina PELLIZZARI, Messaggero Veneto
159 DossierRilanciaFriuli3Novembre21.pdf (0 kB) Dossier Tavola Rotonda
159 M20211029_Fvg_economia.pdf (0 kB) Occupazione in FVG
- Fulvio Mattioni
- Articolo
Analisi di Fulvio Mattioni pubblicata sul Messaggero Veneto del 13 ottobre 2021
Il Sistema economico friulano - e udinese in particolare - "in forma" o provato da una lunga "decrescita infelice"?
«Personalmente non vedo la debolezza del sistema economico friulano, anzi. I dati lo testimoniano: tra il 2019 e il 2020 abbiamo perso Pil, come tutti, ma Udine e Pordenone in particolare hanno retto meglio», afferma il presidente della Camera di commercio Pordenone-Udine Giovanni Da Pozzo sul Messaggero Veneto del 9 ottobre scorso.
Il sindaco di Udine Fontanini, due giorni dopo, chiede alla stampa di semi-censurare chi non vede una provincia di Udine «solida e competitiva» perché, a suo dire, diffonde autolesionismo.
Cosa hanno in comune i due interventi?
Il negazionismo della marginalità economica friulana - soprattutto udinese - e il richiamo all'uso corretto dei numeri.
Questo secondo aspetto ci vede praticanti fedeli perché stufi della bla bla economy proprio perché "i numeri" servono per evitare di "dare i numeri".
Numeri che hanno alimentato centinaia di articoli, il libro "RilanciaFriuli" e il sito https:/www.rilanciafriuli.it. Ed è proprio dall'analisi professionale dei numeri ufficiali che consegue l'estrema urgenza di rilanciare un Friuli in declino e di invertire l'immeritata "decrescita infelice" patita dall'Udinese.
Il valore aggiunto (Va) perso tra il 2019 ed il 2020 dalla ex-provincia di Udine (-5,3%) e di Pordenone (-4,9%), è inferiore a quello perso dal Nordest (-7,5%) e dall'Italia (-7,2%), come ricordato dal presidente camerale.
Cosa si spiega ciò?
Le riposte possibili sono:
a) abbiamo già perso tanto Va che era difficile perderne tanto quanto gli altri;
b) è un risultato casuale perché il 2020 è influenzato dal diverso impatto del Covid;
c) è un misto delle prime due risposte.
Ma come pensare che bastino due soli anni per una analisi economicamente significativa?
- Ubaldo Muzzatti
- Articolo
Il territorio continua a subire l'imposizione di ripartizioni amministrative senza che il dibattito sua fondato da un'analisi delle esperienze internazionali e delle specifiche necessità delle diverse parti in cui è strutturato, Nel dibattito interviene Ubaldo Muzzatti con alcune considerazioni pubblicate il 12 ottobre 2021 sul Messaggero Veneto
Leggo su queste pagine che la Pro Pordenone rimpiange ed auspica il ritorno della Provincia.
Non vi è dubbio che i piccoli Comuni abbiano bisogno di una aggregazione, di un ente, che si collochi tra essi e la Regione, per lo svolgimento di quei compiti che le municipalità medio-piccole non possono più svolgere in modo efficace ed economicamente sostenibile. Ciò però non riguarda le città che hanno al loro interno le risorse umane e materiali per gestirsi in autonomia. Milano non ha mai avuto bisogno della provincia per gestire il teatro alla Scala (e tutto il resto, ovviamente), così Trieste. Non sarà Pordenone ad aver bisogno di un ente sovracomunale per gestire le proprie cose.
Il limite, mai superato, della Provincia sta proprio nel fatto che avrebbe dovuto essere un ente per il territorio, che ha esigenze e problematiche proprie, e non perla città, le cui strutture e dinamiche richiamano una diversa amministrazione. Il necessario ente intermedio per il territorio deve essere costituito da soli comuni extra urbani, insediato in uno di essi (e non in città) e gestito da chi sul quel territorio vive e lavora. Per fare ciò non occorre inventare nulla e non serve correre rischi: ci sono esempi collaudati da tempo in giro per l'Europa e anche a due passi da noi.
Invece di volgere lo sguardo all'indietro basterà guardare alla strutturazione delle autonomie locali di Germania, Svizzera e Austria dove, appunto, gli enti amministrativi del territorio extra urbano non fanno capo alle città maggiori; alla riforma territoriale francese del 2014, con la quale si supera il Département (la provincia) e si istituiscono le Comunità di Comuni; infine si può guardare alla riforma danese del 2006: Comune, Regione, Stato, UE. Punto. Ovviamente i Comuni sono stati adeguati alle nuove esigenze mediante accorpamento, passando dai 270 ai 98 post riforma.
Insomma bisogna guardarsi intorno e scrollarsi di dosso il provincialismo. —
- Fulvio Mattioni
- Articolo
Articolo di Fulvio Mattioni su La Vita Cattolica del 6 ottobre 2021
La ripresa è in atto e sta avvenendo ad un tasso di crescita più alto del previsto, circa il 6%» ha affermato Carlo Cottarelli al teatro Verdi di Pordenone.
Il premier Draghi, il 29 settembre presentando la Nadef 2021 – la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza – chiarisce che «la sfida più importante è quella di rendere la ripresa equa, sostenibile e duratura». Significa che la crescita non può lasciare indietro tante persone, che non può essere finanziata all’infinito dallo Stato e che i tassi di crescita del 2023, 2024 e successivi non debbono crollare a seguito del venire meno della spesa pubblica straordinaria resa possibile dalla strategia comunitaria Next Generation EU. È un chiaro invito alle imprese a fare la loro parte recuperando il mercato e il lavoro perso negli ultimi 20 anni.
Due domande: c’è la ripresa? E se sì, che ripresa è?
Secondo lo scenario programmatico esposto nella Nadef 2021 c’è e si quantifica con un +6% del Pil nel 2021, che è la crescita già prevista dalla Nadef 2020.
Cottarelli, dunque, confronta mele con pere comparando la Nadef 2021 di fine settembre con il Def 2021 approvato ad aprile.
Perché?
Ma perché la Nadef è di gran lunga più realistica del Def giacché considera oltre 8 mesi di tempo mentre il Def appena un trimestre.
Che ripresa è, ci chiedevamo anche.
- Roberto Muradore
- Articolo
Intervista di Stefano Damiani a Roberto Muradore in occasione della pubblicazione del libro «L’uomo che camminava sui pezzi di vetro» (L’Orto della cultura 2021).
L'intervista è stata pubblicata sul periodico "La Vita Cattolica" del 6 ottobre 2021
Il Friuli per rinascere, per uscire dalla crisi in cui anche la pandemia lo ha portato, ha bisogno di ricostruire il senso di comunità, perché «la comunità ha il germe di quel buon interclassismo che risolve i problemi». Ne è convinto Roberto Muradore, già segretario generale della Cisl di Udine e della Bassa friulana, «L’uomo che camminava sui pezzi di vetro», come si intitola – riprendendo la canzone di De Gregori – il recente libro uscito di recente e nel quale ha voluto raccontare quarant’anni di sindacato. Quarant’anni vissuti andando spesso controcorrente e avventurandosi quindi anche su terreni difficili – di qui il titolo del libro – per rispondere ad un’idea di impegno sindacale volto alla ricerca del «bene comune».
Muradore, con questo libro che messaggio ha voluto lanciare e a chi?
«La prima cosa che volevo fare era fissare la memoria. I singoli ma anche le organizzazioni, in questo caso il sindacato, se non hanno memoria non hanno identità e se non hanno identità non esistono. E lo offro a tutti coloro che sono dirigenti di organizzazioni, partitiche, sindacali, economiche, perché capiscano che quando serve è necessario uscire dal coro. Il conformismo nelle organizzazioni uccide la buona rappresentanza».
Di che cosa principalmente vorrebbe rimanesse memoria?
«Sicuramente non vorrei che fosse dimenticato che hanno sbagliato coloro che hanno accettato in modo acritico la narrazione di una globalizzazione neoliberale che veniva considerata positiva in quanto, in fondo, dava da mangiare anche ai paesi del terzo e quarto mondo. Purtroppo ha vinto la narrazione bugiarda secondo cui tutte le ideologie sono sbagliate e l’unica cosa che conta è un mercato senza freni e regole. La globalizzazione c’è sempre stata, ma va governata. Invece, purtroppo, la politica ha abdicato a questo ruolo. Vorrei anche che si ricordasse che la risposta alla globalizzazione è la comunità. La comunità è interclassista e il germe del buon interclassismo risolve i problemi degli ultimi».
Qui in Friuli questo senso di comunità c’è ancora?
«Bisogna ricostruirlo. Sicuramente c’è un senso di identità – propedeutica alla comunità – che va alimentato, ma in modo positivo, non chiuso. In questo senso io sono autonomista, che significa essere aperti. Bisogna partire dal campanile, che non va confuso con campanilismo. È ovviamente ridicolo il singolo paesotto che vuole la sua zona industriale o il suo campo di calcio a tutti i costi. Il campanile però è importante perché rappresenta la mia identità: salendoci, dall’alto posso guardare il mondo e interpretarlo».
A proposito di senso di comunità. Come valuta la bocciatura della presidente di Confindustria Mareschi Danieli?
«Non conosco le logiche interne a Confindustria, ma ho una quarantennale esperienza, a volte amara, di alcune dinamiche organizzative. Posso soltanto dire che non è buona cosa ribaltare un voto di due mesi prima senza neppure spiegarne i motivi e che i personalismi, se in questo caso ci sono, fanno sempre male perché non costruiscono comunità e futuro».
Muradore, come può oggi il Friuli uscire dalla crisi?
«Mi sono preso l’epiteto di conservatore da coloro che ritenevano che il nuovo che avanza era la società terziarizzata, mentre il manifatturiero non contava più nulla.