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RilanciaFriuli partecipa all'iniziativa CGIL
*DI SOT IN SU*
I NUOVI COMUNI DENOMINATORI PER IL TERRITORIO
che si terrà a Udine martedì 31 maggio 2022 ORE 17:30 al Salone del Palazzo Antonini Belgrado in Piazza Patriarcato.
Rilanciafriuli intende proporre una analisi della tragica situazione dei Comuni del FVG e della "ponziopilatesca" riforma varata dall'attuale Giunta e farà una proposta per avviare a soluzione una riforma del sistema Regione-Enti Locali del Fvg che è una "mega-incompiuta" da quasi un quarto di secolo. E nonostante che si tratti della "mamma di tutte le riforme.
Coordina il dibattito: Riccardo de Toma giornalista
Introduce: Emiliano Giareghi Segretario generale CGIL Udinei
Intervengono:
- Roberto Muradore autore del libro "L'uomo che camminava sui pezzi di vetro"
- Gino Dorigo Sindacalista CGIL
- Fulvio Mattioni Economista di RilanciaFriuli
- Sandro Fabbro Presidente del Comitato per la Terza Ricostruzione
- Fulvio Mattioni, Roberto Muradore
- Articolo
Articolo di Fulvio Mattioni e Roberto Muradore pubblicato sul "Messaggero Veneto" del 15 maggio 2000 con il titolo:
Se il sistema ha bisogno solo ed occupati saltuari e poco qualificati per i giovani non c'è futuro
In regione la grande incognita è la mancanza di manodopera Tra le figure più richieste camerieri, camionisti, commessi e cuochi
Il sistema delle imprese locali ha eroicamente fronteggiato la grande crisi prima e la pandemia poi, ben sostenuto dal governo regionale che ha distribuito 70 milioni di ristori alle imprese (del tutto privi di finalità produttive).
I "sabotatori" della ripresa sono i lavoratori. Quelli giovani, in particolare.
Perché scansafatiche e troppo pretenziosi. Pensate!
Non manifestano alcun entusiasmo per lavoretti precari e paghe miserande. E non è tutto.
Le associazioni datoriali, infatti, lamentano gravi difficoltà ad assumere personale che la scuola non è in grado di offrire loro.
Ma la situazione è davvero questa?
Iniziamo a rispondere partendo dall'errore concettuale e statistico riferito al flusso attivati/cessati utilizzato per sostenere la tenuta occupazionale. Flusso che si vuole rappresenti l'andamento dei lavoratori assunti e licenziati cosicché la loro differenza (se positiva) indicherebbe l'entità di lavoratori che rimangono all'interno dell'economia nel periodo di tempo osservato.
Ma é una bufala colossale!
Il flusso attivati/cessati non registra il flusso dei lavoratori che entrano e che escono dal mercato del lavoro bensì la "numerosità amministrativa" dei contratti attivati e cessati (e il loro saldo). Ciò significa che se un lavoratore attiva 5 contratti di lavoro intermittente e due di lavoro stagionale risultano ben 7 contratti, ma non è neppure detto che questi corrispondano a un lavoro a tempo pieno nel periodo di osservazione (il trimestre, l'anno, ecc.).
Veniamo ora alle dichiarazioni delle imprese - raccolte dal sistema informativo Excelsior - riferite alle intenzioni di assunzione e alle difficoltà che pensano di incontrare. Rispetto alle quasi 100 mila intenzioni di assunzione dichiarate nel 2021 in Friuli Venezia Giulia oltre il 40% di esse sono giudicate di difficile reperimento. Al riguardo dobbiamo precisare, innanzitutto, che si tratta di semplici dichiarazioni di fabbisogni occupazionali alle quali non segue un monitoraggio delle assunzioni realmente effettuate né delle effettive difficoltà incontrate. E, altro aspetto importante, che la difficoltà di reperimento dichiarata non è dovuta alla complessità della mansione ricercata, tutt'altro!
Quali sono i titoli di studio che le imprese ricercherebbero per soddisfare i loro fabbisogni?
Soltanto nell'1,8% dei casi personale proveniente dagli Istituti Tecnici Superiori (ITS) e in un ulteriore 12% dall'Università. All'estremo opposto, nel 28,1% dei casi persone con la sola qualifica professionale e nel 18,9% del totale addirittura persone senza alcun titolo di studio!
Le prime cinque figure professionali più richieste sono, nell'ordine, camerieri, camionisti, commessi, cuochi e personale non qualificato per servizi di pulizia. Figure professionali in buona parte stagionali, assai poco qualificate e che non debbono avanzare pretese retributive e tantomeno l'esigenza di un lavoro stabile.
E davvero questa l'imprenditoria e l'occupazione di cui il Friuli Venezia Giulia ha bisogno?
Se la risposta è affermativa non c'è futuro per i nostri figli se non all'estero e non è neppure certo che questa offerta di lavoro interessi ancora gli immigrati economici.
La realtà mercato-lavoristica nostrana è, purtroppo, quella sintetizzata dalla tabella proposta qui accanto che quantifica i lavoratori che desiderano lavorare ma che non hanno un lavoro.
Ciò perché:
(1) sono stati licenziati;
(2) non cercano un lavoro sapendo di non trovarlo (scoraggiati, certo, ma anche disponibili a lavorare da subito);
(3) sono stati sospesi dal lavoro (ovvero in cassa integrazione).
Nel 2021 sono più di 85 mila i lavoratori inutilizzati, ben 20 mila in più di quelli del 2019! Le imprese potrebbero e dovrebbero cominciare ad assumere partendo da loro che sono tantissimi e disponibili. Potrebbero anche cercare tra gli occupati precari e quelli in part/time involontario.
Altro che introvabili!
Per soddisfare le esigenze delle imprese che lamentano carenza in vari settori risulta strategico ed urgente mettere i Centri per l'Impiego del Friuli Venezia Giulia in condizione di funzionare ancor meglio e più velocemente.
Si assumano, allora, le 100 unità di personale mancanti recentemente ricordate dall'assessore competente.
E... al lavoro!
- Fulvio Mattioni
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Articolo di Fulvio Mattioni pubblicato sul "Messaggero Veneto" dell'11 maggio 2022.
Il Presidente Fedriga chiede al Governo di rivedere il Reddito di Cittadinanza (RdC) limitandolo solo a chi non è occupabile anziché agli indigenti tutti.
L'Unione Europea è giunta alla terza tornata decennale di interventi anti-povertà avendo attivato, nel 2000, la "strategia di Lisbona" (che voleva sradicare la povertà entro il 2010); proseguito, nel 2010, con la strategia "Europa 2020" (che mirava a ridurre le persone a rischio di povertà di 20 milioni di unità entro il 2020) e, da ultimo, posto l'obiettivo di ridurne lo stock di 15 milioni entro il 2030.
Il punto di partenza - assodato con dati inequivoci - è che la povertà (sia relativa che estrema o assoluta) è figlia di una crescita economica inadeguata. E questa la causa del mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati sia per il 2010 sia per il 2020. La decrescita del reddito sperimentata dall'Italia (e dalla Grecia) e la mancanza di un intervento italiano (e greco) di fronteggiamento della povertà spiegano, altresì, perché Italia (e Grecia), si trovano in coda alla classifica del reddito ed in testa a quella della povertà. E spiega, altresì, perché la UE, da tempo, richiedeva all'Italia una misura anti-povertà sfociata, ad aprile 2019, nell'adozione del RdC.
Il motivo dell'insistenza?
Nel 2008, in Italia c'erano 15,1 milioni di persone a rischio di povertà - il 21,2% di tutte quelle dell'Eurozona - e nel 2019 erano di più: 15,4 milioni, pari al 22,2% dell'Eurozona.
Che cosa è il RdC?
Una misura di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale.
Ha, quindi una doppia finalità: offrire un sostegno economico per l'integrazione dei magrissimi redditi posseduti dal nucleo familiare (devono essere inferiori a 6mila euro annui, sono accertati tramite ISEE) e, per un sottoinsieme di beneficiari, prevedere un percorso di reinserimento lavorativo o sociale.
Chi sono stati i reali beneficiari del RdC?
Un esaustivo lavoro dell'INPS sull'esperienza fatta permette di rispondere che:
1) nel 41,8% del totale sono i beneficiari per i quali l'eventuale ricerca di una posizione lavorativa non ha senso in quanto minorenni, anziani, disabili e titolari di pensioni;
2) all'interno del restante 58,2% dei soggetti "teoricamente occupabili" si individua un 14,6% di persone per le quali la ricerca [di lavoro] ha dato un esito nullo;
3) un ulteriore 24,9% di beneficiari erano inattivi o disoccupati di lunga durata classificabili, quindi, come lavoratori assai "vulnerabili" (non a caso per buona parte residenti nel Mezzogiorno);
4) il restante 18,7%, infine, racchiude i cosiddetti "lavoratori poveri", cioè quelli che hanno perso un lavoro a tempo pieno o che sono in Naspi o impegnati in "lavoretti".
Il RdC, insomma, risulta integrare o proseguire la disoccupazione indennizzata o un part/time.
E ora una riflessione e una proposta finali.
- Fulvio Mattioni
- Articolo
Mi pare doveroso premettere che i numeri vanno considerati sia per il loro valore che per il fenomeno che esprimono. Partiamo allora dall'export nostrano ovvero dal dato del 2021 (18,1 miliardi in crescita rispetto ai 15,5 del 2018 e del 2019) rilevando che risulta "gonfiato" per oltre 1,5 miliardi da due fenomeni monetari che non implicano nessuna crescita produttiva e/o occupazionale.
Quali?
L'aumento di costo delle importazioni siderurgiche (450 milioni scaricati sui prezzi di vendita dell'export) e la fatturazione di parte della produzione di navi da crociera avvenuta precedentemente e/o fatta fuori regione (1.070 milioni).
Al netto dei due fenomeni monetari richiamati, l'export nostrano effettivo del 2021 scende a 16,6 miliardi, segnando una buona crescita pari al 7,3% (anziché del gonfiato 17%), ma risultando inferiore a quella di Nordest (12,7%), Trentino Alto Adige (15,8%), Emilia Romagna (13,6%) e Veneto (10,4%). A riprova di quanto detto si ricorda che né le imprese siderurgiche udinesi interessate dal fenomeno né la Fincantieri indigena ha fatto registrare incrementi occupazionali di qualche rilievo.
Tenuta occupazionale alta per merito della Regione Fvg? La tenuta occupazionale c'è stata, certo! Gli occupati ufficiali (Istat) del 2021 sono stati 510mila a fronte degli oltre 508mila del 2019 (+0,4%), ancorché la ex-provincia di Udine abbia fatto registrare una stagnazione (+0,0%) e quella di Trieste una leggera crescita (+0,9%). Ma che c'entra la Regione Fvg? Il merito, infatti, è della cassa integrazione autorizzata che ha coinvolto ben 41.900 lavoratori corregionali nel 2020 e 20.927 nel 2021. E, come è noto, i cassaintegrati rientrano tra gli "occupati" nelle statistiche del mercato del lavoro.
Mille grazie allo Stato, dunque!
A proposito dei dati sul mercato del lavoro invito a non dare alcun credito a quelli che propongono il confronto tra assunti e licenziati traendone - in modo del tutto erroneo - indicazioni sulla consistenza degli occupati. Dico questo perché si tratta di dati che quantificano i contratti di lavoro attivati e cessati, ma inadeguati a quantificare i lavoratori che rimangono all'interno dell'economia nel periodo di tempo considerato.
C'è, infine, un terzo elemento che merita un (veloce) commento: quello del ruolo attribuito ai 70 milioni di ristori decisi dalla Giunta regionale a favore delle imprese nostrane. Ebbene, non c'è alcuna evidenza che essi abbiano contribuito in qualche modo al consolidamento produttivo delle imprese "ristorate" mentre c'è l'evidenza che siano aumentati i depositi bancari delle imprese, in Fvg come in Italia.
Venendo all'attualità del "fare presto e far bene" serve, senz'altro, mettere in campo un progetto strategico di cambiamento e di sviluppo da parte della politica e delle forze sociali nostrane.
Per quali ragioni?
Almeno tre, la prima delle quali è di porre rimedio alle carenze produttive e sociali che hanno portato alla situazione descritta dalla tabella proposta, ovvero al calo del reddito (Pil) prodotto dall'economia del Fvg (-5,3%) nel periodo 2008-2019. Quello del Nordest, tanto per fare un confronto significativo, è positivo per lo 0,4% ma sarebbe stato +1% senza il Fvg. E il confronto con le altre macro-ripartizioni territoriali (e regionali) non è esaltante a meno di voler gareggiare solo con quella del Mezzogiorno.
La seconda è di dare per acquisito che i macro-andamenti del 2020 e del 2021 sono stati influenzati rispettivamente dalla sorte (ovvero dalla pandemia che ha colpito lavoratori e imprese con intensità casuale nei vari territori) e dall'intervento statale, ovvero dalla colossale spesa per ammortizzatori sociali (585 milioni tra 2020 e 2021 in Fvg) e incentivi statali vari.
La terza ragione risiede nella straordinaria dovizia di risorse messe in campo dal Pnrr italiano (1,3 miliardi) e dallo Stato (2 miliardi) a seguito dell'ultima revisione dell'accordo Stato-Regione.
Un progetto di sviluppo superiore a 3 miliardi di euro da realizzare in parte entro il 2023 ed in parte entro il 2025.
Un progetto da confezionare al più presto, ma capace di consegnare frutti "resilienti" anche per i nostri figli.
E solo allora, eventualmente, rivendicarne il merito. --
- Fulvio Mattion
- Articolo
Articolo di Fulvio Mattioni pubblicato sul "Messaggero Veneto" del 5 aprile 2022 con il titolo "La nuova Bassa Friulana è una patto tra Comuni"
Il ricordo, però, é stato messo a servizio dell’attualità poiché è emersa la necessità e l’urgenza di far presenti fabbisogni ed aspettative dei Comuni rilanciando il ruolo del territorio articolato in opportune aggregazioni di Comuni.
Perché la crisi della finanza locale ha messo in ginocchio tutti i Comuni del Fvg, esclusi, forse, quelli ex-capoluogo di provincia.
E allora?
Bisogna fare massa critica dal versante della progettazione d’area, della gestione comune di servizi ma anche delle politiche di sviluppo (zone, industriali, turismo, cultura, assistenza, ambiente, collocamento, trasporto locale, ecc.).
Tema cruciale, da un trentennio almeno, per le ex-province di Udine e Pordenone, ma inesistente per quella triestina (la città rappresenta, da sola, il 90% della sua provincia) e del tutto marginale per quella goriziana avendo raggiunto un solido equilibrio nella sua articolazione tra alto e basso isontino.
Cruciale, dunque, per il 70% dei residenti (oltre 830mila) nelle due ex-province friulane e non-tema per i 370mila rimanenti (dati 2020).
Non-tema liquidato dalla Giunta Regionale con l’istituzione degli Enti di Decentramento Regionale (Erd). Denominazione che chiarisce la loro vocazione burocratica accompagnata dalla volontà di cancellare la precedente riforma delle UTI e che, assieme, come nel gioco dell’oca, riportano la situazione alla casella di partenza. Non sono state definite, infatti, le funzioni da delegare alle neonate ex-province “burocratiche” e le aggregazioni tra i Comuni sono, purtroppo, di nuovo volontarie.
Ricordiamo che il decentramento vero – quello normato dalla disattesa legge regionale n.13 del 1998 – consiste nel togliere funzioni alla Amministrazione Regionale per delegarle agli Enti locali più vicini ai fabbisogni di cittadini ed imprese, cioè ai Comuni. Disattesa perché richiedeva l’individuazione delle funzioni da decentrare, il trasloco dalla Regione ai Comuni del personale che le eroga e quello delle risorse finanziarie necessarie allo scopo.
La sperimentazione della riforma degli Enti Locali era già stata fatta con la legge n.1 del 2006 che ha promosso le aggregazioni dei Comuni adottando il criterio della volontarietà delle aggregazioni.
Risultato?
Ben 43 forme associative: troppe per qualsiasi velleità di programmazione! E assai disomogenee tra di loro perché figlie del caso (la volontarietà). Non è possibile, infatti, decentrare le stesse funzioni tra aggregazioni comprese tra un minimo di 500 residenti ed un massimo di 126mila.
Risultato finale?
Zero funzioni decentrate e zero dipendenti passati dalla Regione ai Comuni. Conclusione?
Errare è umano, ma perseverare è diabolico!
Facendo ritorno alla nostra Bassa Friulana avanzo una proposta di lavoro per raggiungere 3 obiettivi:
1) darle finalmente una identità condivisa;
2) internazionalizzarla, ancora di più;
3) valorizzare tutte le sue risorse interne (tradizionali, in flessione, virtuali).
Che serve, allora? Una iniziativa per discutere la fattibilità di una Bassa Friulana a 28 Comuni (derivanti dall’aggregazione delle due sub-aree Cervignanese e Latisanese), aggregazione che vale 103mila residenti, quasi 9mila unità locali e ben 50mila occupati.
Una Bassa Friulana, dunque, che conta tra l’8%-9% delle grandezze menzionate se rapportate alla dimensione regionale.
Una Bassa friulana che si propone come un vero polmone a livello regionale (si veda l’immagine proposta), capace di valorizzare tutte le sue risorse interne – industriali, turismo balneare, cultura e archeologia, darsene, nautica, agroalimentare, pesca, percorsi eno-gastronomici, turismo lagunare, ecc..
Può interessare una Bassa Friulana siffatta?
Spero proprio di sì.
- Fulvio Mattion
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Che fine ha fatto il piano di ripresa della Regione FriuliVG? - Da una parte segnali di smarrimento, dall’altra tracce di squilibrio territoriale. Ma le proposte non mancano.
Articolo di Fulvio Mattioni pubblicato "La Vita Cattolica" il 23 marzo 2022
Chi l’ha visto?
Esiste e si è smarrito o non si vede perché non c’è?
La nostra ansia amletica è del tutto motivata perché l’oggetto misterioso è un documento doppiamente strategico per la programmazione regionale avendo lo scopo di garantire la ripresa e la resilienza dell’economia e della società nostrana.
Chi è il ricercato?
Il Piano regionale per la ripresa e la resilienza (Prrr) del nostro Fvg.
Che sappiamo di lui?
Assai poco poiché l’informazione è stata frammentaria e criptica.
Il primo frammento risale al 1° aprile 2021 e si sostanzia in una delibera giuntale che approva 5 schede strategiche (meno di mezza paginetta) con le quali si chiedono al Governo 9.462,4 milioni a valere sul Pnrr italiano. Spiccano, nella richiesta miliardaria, i 4.667,46 milioni per il Green Deal Fvg.
Il secondo frammento?
15 righe rinvenute nella Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza 2022 che dicono:
1) il Pnrr Italia assegna al Fvg risorse per 1.273,3 milioni (di cui ai Comuni 909,67 milioni e all’Ente Regionale 363,6 milioni);
2) la spesa deve essere rendicontata entro la fine del 2023.
Alcune domande ed osservazioni: la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza è, forse, il Prrr del Fvg?
Dove sta la valutazione dell’impatto atteso dall’intervento complessivo in termini occupazionali?
E dell’impatto territoriale?
Le risorse destinate alla città di Trieste (e, assai meno, alla città di Monfalcone) superano già il 40% del totale ma, con la ripartizione delle risorse ora indivise, andranno ad oltre il 60%.
Che senso ha attribuirne tante ad un pezzo di economia e società che vale meno del 20% del Fvg?
Che fine ha fatto il Green Deal Fvg (la rivoluzione/ transizione verde)?
Per quanto riguarda la ripartizione delle risorse tra i Comuni si osserva l’estrema concentrazione in quello di Trieste cui vanno oltre il 55% (505 milioni su 909) delle risorse assegnate, salvo acquisirne di ulteriori tra quelle ora indivise.
Solleva curiosità, infine, il fatto che ai Comuni vengano assegnati 580mila euro per l’edilizia ospedaliera e sanità territoriale e timore che sia una spesa elettorale l’assunzione di 1.000 “esperti” (di che cosa?) in Regione. Non sarebbe comunque meglio assumerli nei Comuni sprovvisti di personale e, quindi, impossibilitati a predisporre i progetti di loro competenza?
Ed ora due proposte per dare lungimiranza e trasparenza alla programmazione strategica Fvg.
La prima suggerisce la costruzione di un sito istituzionale denominato “FVG Domani” che ricalca quello nazionale “ITALIA Domani” (dove vengono messe tutte le informazioni concernenti il Pnrr nazionale).
La seconda propone la redazione – condivisa dalle forze politiche e dalle parti sociali − di un documento strategico “FVG Domani” che si componga di due parti. La prima contenente l’articolazione puntuale e dettagliata degli interventi adottati in conseguenza delle risorse assegnate dal Pnrr Italia al Fvg. La seconda gli interventi che la Regione Fvg intende attivare con le risorse addizionali che l’accordo con lo Stato ha portato al bilancio regionale. Nel periodo 2022-2026, infatti, esse ammontano a 2 miliardi che potrebbero essere utilizzati sia ad integrazione di quelle assegnateci con il Pnrr Italia per il biennio 2022-2023 sia per sostenere gli interventi eliminati a causa del taglio subito dai 9,4 miliardi originariamente richiesti. Interventi volti al rafforzamento strutturale di economia e società nostrana, non ad alimentare spese improvvide tipiche del periodo pre-elettorale.
Ovvero?
Ad aumentare i posti di lavoro, a valorizzare i contenuti professionali dei lavoratori, ad attrarre imprese anche dall’estero, a favorire la crescita dimensionale delle aziende per vie esterne (aggregazioni), a promuovere il Green Deal Fvg, ad incrementare la produzione di energia e il suo risparmio a livello aziendale e domestico, ecc..
Buon “Fvg Domani”, allora.
Fulvio Mattioni