Se prevarranno lo spirito imprenditoriale e la capacità di attrarre e valorizzare le migliori risorse che caratterizzava la città quando era ancora un “portus” e non ancora un centro meramente burocratico 

Lo stemma della città di Pordenone affrescato sulla facciata della casa “Muzzatti – Crovato – Simoni” in corso Vittorio Emanuele[zt_dropcaps type="type-1" bgColor="#ffffff" textColor="#0150C3"]S[/zt_dropcaps]ì, Pordenone è stato per secoli un porto, un punto di transito per le merci, un luogo di incontro per uomini di varia provenienza, una fucina di opere, arte, idee. Si è sviluppata in coerenza con il suo etimo “Portus Naonis”: porto sul Noncello. Per secoli è stata accogliente, ha tenuto aperte le porte, come sullo stemma civico. Questo clima, assieme alle risorse disponibili (acqua ed energia idraulica), favorirono, soprattutto dall’unità d’Italia in poi, l’insediamento e lo sviluppo dell’industria, tessile, cartaria, della ceramica, metallurgica, già presente dal sedicesimo secolo. Furono imprenditori provenienti soprattutto da Lombardia, Germania, Austria e dal resto del Friuli a dare questo impulso e a fare di Pordenone la “piccola Manchester” d’Italia, ovvero una delle città (e territorio circostante) a più alta densità industriale.

Nel secondo dopoguerra, poi, saranno innanzitutto “i tre capitani d’industria” – Giulio Locatelli, Luciano Savio, Lino Zanussi – a confermare la vocazione industriale di Pordenone e a portarla con successo sui mercati internazionali. In città, ed intorno ad essa, si sviluppò il polo economico trainante di tutto il Friuli e del Veneto orientale. Industria, lavoro, economia e non solo: la città “faceva Politica” con i suoi imprenditori che pure non scesero mai in politica. E poi crescita socio-culturale con il fiorire ti tante iniziative, tra cui fondamentale il “Centro Culturale Casa dello Studente A. Zanussi” che Lino volle e finanziò intitolandolo al padre Antonio. Qualche anno dopo un altro imprenditore, allora anche presidente della Camera di Commercio, avviò prima la “Fiera del libro” e poi quello che è diventato, e ancora è, uno dei più maggiori festival letterari “Pordenonelegge.it”.

Erano quasi tutti
friulani i quadri e
i dirigenti d’industria

In quella stagione fu preminente il contributo dei friulani, senza negare che molti vennero in città da altre parti. Quasi tutti friulani erano i quadri e i dirigenti d’industria, a partire dal braccio destro di Zanussi, il perito Divora che morì con lui nel tragico incidente aereo in Spagna. Friulano è l’imprenditore già citato che avviò Pordenonelegge. I friulani, immigrati a Pordenone per lavoro o dell’interland, furono tra i promotori della “Associazione provinciale per la prosa” – antesignana del Verdi – che portò il teatro in città, di “Cinemazero”, delle “Giornate cinema muto”. Per alcuni decenni lo sviluppo economico e socio-culturale della città marciarono di pari passo, spinti innanzitutto dalle capacità e lungimiranza dei “suoi” imprenditori, dirigenti, quadri e maestranze provenienti da vari luoghi ma con prevalenza di friulani, della destra e della sinistra Tagliamento.

Nel 1968 Pordenone divenne capoluogo dell’omonima Provincia, ottenuta per scorporo dalla Provincia di Udine. Ciò portò, con gli uffici periferici dello Stato normalmente insediati nei capoluoghi, un ulteriore afflusso di immigrati: funzionari, impiegati statali, burocrati. Un’ulteriore crescita demografica, dunque, di personale anche qualificato, ma avulso dallo spirito di intraprendenza che aveva, sino ad allora, caratterizzato la “piccola Manchester” sul Noncello. Per qualche decennio le due anime cittadine (economico-industriale e istituzionale-burocratica) convissero quasi ignorandosi, essendo troppo diverse per formazione e vocazione.

Pordenone restava
distinta e distante
dal territorio che
aveva rivendicato
per la nuova Provincia.
Una contraddizione
in termini.

Assurta a Capoluogo, Pordenone avrebbe potuto appoggiarsi e giovarsi del territorio per consolidare un polo industriale esteso e polisettoriale, con punti di forza nella meccanica del Sanvitese, la metallurgia di Maniago, il legno-arredo del Sacilese. Prevalse invece l’arroccamento su sé stessa, la rivendicazione della separatezza dal territorio. Come era stato per secoli, Pordenone, enclave prima asburgica e poi veneziana,  si proclamava ancora distinta e distante dal territorio friulano che pure aveva rivendicato per la nuova Provincia, forte della sua industria e della sua intraprendenza. Una contraddizione in termini.

Poi qualcosa è cambiato. A partire dal 1984, quando l’Electrolux acquisì l’intero gruppo Zanussi, privando la città del “soggetto”, che più di ogni altro l’aveva portata in alto. Già nel 1976 era passata di mano la Savio e anche le aziende fondate dai Locatelli finirono progressivamente in mano “straniere”. Tramontava l’epopea dei “capitani d’industria” e il cielo sopra Pordenone si velava di nubi. Il mosaico imprenditoriale pordenonese perse altre tessere, altre sbiadirono, si scollarono. E non di meno, non tutto è andato perduto, altre aziende sono cresciute, prima fra tutte il gruppo Cimolai, leader mondiale di grandi e complesse costruzioni meccaniche. Altre, innovative, si sono affacciate sui mercati. Per esempio sin dal 2008 a Pordenone si produce una vetturetta elettrica, in zona si producono aerei, elicotteri leggeri e droni professionali per le forze armate, un’altra ancora produce radiotelescopi.

Insomma, qualche fermento dell’antico spirito innovativo e imprenditoriale ancora vive. Ma bisogna che cresca, che trovi spazio e contrasti la fazione burocratica e politicante che pare soggiogare la città. Bisogna che a Pordenone si torni per lavorare, per accedere ai suoi contenitori e alle sue manifestazioni culturali. Non solo per fare il passaporto in questura, o la licenza di pesca e il permesso per la raccolta dei funghi, come vorrebbero quanti chiedono la riesumazione della Provincia.

[zt_blockquotes type="big" author="Ubaldo Muzzatti" author-link="Author" extra-class="blockquotes"]Ma la stasi indotta dal Corona virus permetterà qualche verifica: se l’economia cittadina e del Friuli occidentale saprà rialzarsi prima e più delle altre aree regionali, vorrà dire che vi è ancora intraprendenza. E' auspicabile che ciò non si ponga in contrapposizione con la regione di cui è parte integrante e qualificata.[/zt_blockquotes]In questi giorni, purtroppo, tutto si ferma anche a Pordenone, ma la stasi indotta dal Coronavirus permetterà qualche verifica. Se fra qualche mese l’economia cittadina e del Friuli occidentale saprà rialzarsi prima e più delle altre aree regionali, vorrà dire che vi è ancora intraprendenza in riva al Noncello. Ed è auspicabile che, come è stato ai tempi dei “tre capitani”, ciò concorra al rilancio del Friuli e non si ponga in contrapposizione con la regione di cui è (ed è sempre stata in forme originali e proficue) parte integrante e qualificata.