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"La Vita Cattolica" del 18 marzo 2020

Oggi peggio che ai tempi del terremoto del 1976

Intervista di Francesco Dal Mas a Fulvio Mattioni - "La Vita Cattolica" del 18 marzo 2020

Come si risveglierà l’economia friulana dalla crisi coronavirus? È la domanda che molti già si pongono in questi giorni di chiusura di parecchie attività, non solo commerciali, ma anche manifatturiere.
Per una risposta ragionevole, bisognerebbe andare a rivedere brevemente come la nostra economia si è addormentata riflette lo studioso Fulvio Mattioni –. Perché, ricordiamolo, un sistema “in forze” riparte di slancio, mentre un sistema “malaticcio” riparte scontando lo stato di debolezza in cui versava. Questa, in estrema sintesi, è la diagnosi che spiega l’esperienza vincente friulana del post-sisma del ‘76, «che è stata ben diversa da tutte le altre che, invece, sono rimaste incompiute o fallite sul nascere».
Come, dunque, è entrata nell’emergenza coronavirus l’economia friulana?
In uno stato di profonda crisi quella friulana – meno 11,2% del reddito prodotto dall’insieme delle tre ex-province di Gorizia, Pordenone e Udine nel periodo 2008/2018, a fronte di una modesta crescita (ma pur sempre crescita) del 2,3% di quella triestina. Peggiore la ex-provincia udinese (meno 16,0%), la cui decrescita infelice è più intensa di quella del Mezzogiorno d’Italia (- 11,2%)».

Il virus colpisce
un’economia
già malaticcia.
Le previsioni
di Fulvio Mattioni

Un confronto con gli altri?
L’Italia decresce del 5,7%, il Nord- Ovest del 2,5% ed il Nord-Est, Fvg escluso, di appena l’1,2%. Differenze che si modificano impercettibilmente considerando anche il 2019 posto che la crescita italiana sarà dello 0,3% e quella della regione attorno allo 0%.
In che modo si possono spiegare le vistose differenze di risultati ottenuti dalla diverse aree della nostra regione?
Considerando almeno 4 elementi. Il primo è il calo significativo dei consumi soprattutto delle famiglie friulane – tradizionalmente “risparmiose” – che ha portato ad un aumento significativo dei depositi bancari, anche di quelli delle imprese, purtroppo, che, quindi, non investono. Il secondo è la diminuita competitività delle nostre imprese manifatturiere sui mercati esteri testimoniato dalla flessione dell’export nelle exprovince di Pordenone (-9,9%) e Udine (-5,7%) se valutato a prezzi costanti e per l’intero periodo 2008-2019. Il terzo è il tracollo del settore edilizio e, l’ultimo, la stagnazione delle presenze turistiche nell’area udinese e goriziana, a fronte dell’exploit di quelle registrate nella ex-provincia di Trieste, dove, non a caso, si stanno costruendo diversi alberghi di lusso, cioè a 5 stelle.
Quali sono stati gli impatti occupazionali di questi andamenti? 
Dal versante occupazionale si ripropongono gli andamenti visti per il reddito e la componente estera della domanda. Vale a dire che – considerando il solito periodo 2008/2019 – il Fvg perde circa 7mila occupati (-1,3%),
Gli altri?
Italia (+1,2%), Nord-Ovest (+2,2%), Nord-Est (+2,8%) e Centro (+4,7%).
[zt_blockquotes type="box" author="Fulvio Mattioni" extra-class="blockquotes"]L'emergenza coronavirus impatta su un’economia friulana già in stato di profonda crisi. Bisogna superare l'emergenza e poi porre all'ordine del giorno il rilancio.[/zt_blockquotes]E quali sono i principali macrofenomeni sociali ad essi collegati?
Sono i circa 70 mila lavoratori lasciati inutilizzati dall’economia del Fvg; la diminuita attrattività dell’area friulana nei confronti degli immigrati economici; gli espatri netti dei nostri giovani caratterizzati da un ritorno improbabile e dei pensionati giovani che difendono il loro tenore di vita migrando in altri Paesi. E, ancora, l’accentuarsi della senilizzazione della popolazione residente, fenomeno che aumenta i fabbisogni di Welfare a fronte di una economia calante e di un bilancio della Regione sempre più in crisi.
Un quadro sconfortante. Quindi come si sveglierà l’economia friulana dopo il coronavirus?
Trovando un mega rospo anziché un bel principe azzurro
In sostanza lei dice che ripartiremo dai problemi che avevamo.
Ma quali rischi si possono intravedere nel breve periodo, tutto tornerà come prima entro poche settimane come dicono alcuni?
Credo che siano almeno quattro le variabili cruciali per abbozzare uno scenario congiunturale (fase emergenziale) ed uno di medio periodo della durata di almeno 3 anni se non 5 (fase del rilancio). La prima è la durata della fase emergenziale italiana, la seconda è la durata di quella dei Paesi e delle economie toccate dal CV-19 con le quali intratteniamo i rapporti economici più significativi, la terza è la risposta che l’Unione Europea intenderà dare alla fase in questione; la quarta, infine, è la portata della fase di rilancio dell’economia che l’Unione Europea metterà in campo nel medio periodo.

Proviamo a fare qualche ipotesi.
Escludo il miracolo che tutto possa tornare come prima nel giro di un mese o due, salvo casi limitati ad alcuni segmenti produttivi che servono proprio a fronteggiare la fase acuta o a produzioni particolari».

Intervista di Francesco Dal Mas a Fulvio MattioniIn che misura l’emergenza sanitaria condizionerà anche in futuro l’economia?
Affinché tutto torni come prima l’Italia ed i suoi partner commerciali debbono aver superato tutti assieme il punto più alto della crisi sanitaria, dapprima, e poi, ancora una volta tutti assieme, la fase di ritorno alla normalità.
Quanti mesi serviranno?
Azzarderei che servano almeno 3/4 mesi vista la notevole diversità temporale di entrata nella crisi CV- 19 dei vari Paesi interessati e la diversità degli approcci da essi prospettati. C’è poi da valutare il tempo necessario per allestire gli strumenti normativi ed operativi per fronteggiare la fase dell’emergenza e quella del rilancio, posto che si arrivi a questo secondo livello. La fase necessaria a fronteggiare l’emergenza mi pare senz’altro più veloce benché legata alla diversa tempistica della diffusione dell’infezione».
Il nostro Paese riuscirà ad avere la mano un po’ libera nella “spesa”?
Dal versante degli organismi comunitari mi pare che il controllo sarà esclusivamente sulla dimensione finanziaria degli interventi emergenziali e che questa sarà direttamente collegata all’entità del debito lordo consolidato dei Paesi membri, fatto che determinerà gli spazi di manovra di ciascuno. L’Italia potrà spendere poco, la Germania moltissimo, ad esempio. Ben più tempo, invece, richiederà l’allestimento di un intervento di rilancio che non potrà avviarsi prima di un anno dal momento in cui ci si metterà mano.
Concludiamo con l’intervento messo in campo dalla politica regionale del Fvg.
Cosa ne pensa?

L’intervento varato mi pare tradizionale per quanto concerne i filoni di spesa, mentre l’adeguatezza finanziaria potrà essere valutata tra un po’. Un intervento di rilancio dell’economia friulana credo non sia ancora all’ordine del giorno.
Francesco Dal Mas


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