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Articolo pubblicato su "Il Friuli" del 24 luglio 2020
ImmagineUbaldo Muzzatti su "Il Friuli" del 24 luglio 2020
Nelle dodici puntate di ‘Noi e gli altri’ abbiamo presentato una serie di articolazioni amministrative per il governo del territorio vigenti – e in divenire – in Europa. Si tratta di un campione significativo, sia per collocazione geografica (dal Mediterraneo alla Scandinavia) sia soprattutto per la storia e la valenza politica di queste nazioni. Si è avuta cura non solo di riportare la situazione in essere, ma anche di traguardare le origini e la direzione intrapresa in ciascuna di queste realtà e, ove possibile, di comprendere le motivazioni che hanno portato a fare le scelte operate. Si è anche cercato di porre in evidenza gli elementi che sono stati ritenuti superati e, quindi, riformati e quelli che, invece, sono stati mantenuti perché ritenuti ancora validi.
Ebbene, cosa evidenziano i dati prospettati e che conclusioni possiamo trarre?
In effetti, seppure sintetici, gli elementi raccolti e presentati sono (o dovrebbero essere) di estremo interesse. Soprattutto per quanti si assumono l’onere di riformare il Sistema delle autonomie locali regionale o nazionale. Visto che tanto il Friuli Venezia Giulia, quanto l’Italia intera non hanno ancora intrapreso una via risolutiva per un problema grave e impellente qual è quello in oggetto. Un sistema di governo del territorio adeguato è una precondizione per lo sviluppo omogeneo e sostenibile dello stesso. Come abbiamo visto, in molti Stati europei sono state fatte riforme importanti, intraprese vie nuove abbandonando schemi secolari ma ormai superati. In sintesi si evidenziano gli elementi, spesso comuni, che emergono dallo studio delle realtà europee.

Città e
territori sono
realtà differenti
che necessitano di
politiche e gestioni
amministrative
differenziate

ENTE IMPRESCINDIBILE. Il Comune viene ovunque confermato ente imprescindibile per il cittadino e il territorio. Le mutate condizioni, però, impongono di intervenire su di esso o per esso.
Due le strade scelte.
La prima, quella già vigente negli Stati federali (Distretti, Circondari) e ora adottata anche dalla Francia (Comunità di Comuni), prevede di supportarne l’azione con un ente intermedio, costituito da un’aggregazione compatta e omogenea. Questa soluzione consente di mantenere anche i municipi più piccoli (i francesi hanno mediamente meno di 2.000 residenti, contro gli oltre 5.000 del Friuli-Venezia Giulia).
La seconda via è quella intrapresa decisamente dalla Danimarca e in parte anche dalla Germania e Svizzera: potenziamento dei Comuni e riduzione del loro numero mediate fusioni. Con quasi 60.000 residenti medi e 440 Kmq di superfice per comune la Danimarca ha costituito degli enti di prossimità in grado di erogare la gran parte dei servizi e di attuare politiche di sviluppo territoriale. 

La Regione sta divenendo l’ente territoriale di primo livello in tutta Europa. Recente, come abbiamo visto, l’introduzione in Danimarca, recentissima la promozione in Francia. Negli stati federali il primo livello è costituito da Land e Cantone.
E tra Comune e Regione? Nulla in Danimarca e in alcuni Cantoni svizzeri. Enti compatti e omogenei negli stati federali (Distretti, Circondari) e in Francia (Intercomunalità). Un ente, che per collocazione e dimensione è simile alle province italiane, sopravvive solo nei quattro Länder più grandi della Germania e in Belgio. 

C’è poi la questione dell’elezione diretta o di secondo livello per l’ente sovracomunale. In effetti sono praticate entrambe le varianti. Sicuramente a elezione diretta sono gli organi dei circondari tedeschi, meno quelli dei distretti austriaci.
I Comprensori altoatesini hanno organi a elezione indiretta da parte dei Comuni. Era così anche per i comprensori della provincia autonoma di Trento ma, con la riforma del 2006, si è passati all’elezione diretta del presidente e dei 3/5 dei consiglieri, con i restanti nominati dai Comuni facenti parte, mentre ai sindaci è riservata solo una funzione consultiva.

IL NODO IDENTITÀ Enti e identità: è impossibile far coincidere l’area di un ente preposto all’erogazione di servizi (efficace, efficiente, sostenibile, imparziale) con l’area di insediamento di una comunità linguistico-culturale omogenea. E non di meno il riconoscimento, la valorizzazione e lo sviluppo delle peculiarità linguistico-culturali sono un diritto costituzionale e universale che le istituzioni – Comune, Ente intermedio, Regione, Stato e UE – devono realizzare (non solo enunciare). L’organizzazione a ‘matrice’ del Belgio, che individua e fa coesistere, entro perimetri differenziati, tre Regioni amministrative e tre Comunità linguistiche, appare la più adeguata a perseguire lo scopo di assicurare a tutti i cittadini servizi equivalenti e a ciascuno – ovunque residente – il riconoscimento e il sostegno della propria storia, lingua e cultura.

Città e territorio sono realtà differenti che necessitano – per l’ottimizzazione di entrambi – di politiche e gestioni amministrative differenziate. Per questo Austria e Germania (che pure ha realizzato anche di recente riforme importanti) mantengono nettamente separati gli enti preposti all’amministrazione dei centri urbani maggiori e di quelli minori sparsi sul territorio. Con la distinzione tra le Comunità territoriali e le Comunità urbane anche la Francia aderisce – in certa misura – a questo modello. Ne consegue il superamento di enti costituiti da una città capoluogo da un territorio extraurbano annesso (Départements francesi e Province italiane). 

SFRUTTARE LE TECNOLOGIE Infine, semplificazione e riduzione dei livelli amministrativi. Gli straordinari mutamenti tecnologici, culturali e organizzativi rendono possibile una semplificazione e una riduzione dei livelli istituzionali e amministrativi. Al contempo la scarsità delle risorse e l’ineludibile sostenibilità le rendono necessarie. Pertanto il punto d’arrivo per tutti è il modello danese: Comune – Regione – Stato – UE. Punto. Quelli che, per vari motivi, non possono realizzare subito questa semplificazione, devono perlomeno intraprenderne la direzione. Avendo cura di istituire articolazioni ed enti che li avviino verso quel traguardo e preparino le comunità a una ineludibile transizione… per il loro stesso bene.

E NOI INVECE ANDIAMO A RITROSO RISPETTO AL CORSO DELLA STORIA
A questo punto sarebbe lecito chiedersi se è mai possibile che qualcuno, in qualche ‘remota regione’, possa pensare di intraprendere delle riforme in antitesi con quanto emerge dalle tendenze che si riscontrano in tutta Europa. Tendenze che mirano esclusivamente a rendere più efficaci, efficienti, sostenibili ed equi i sistemi di governo del territorio. Ebbene, la risposta è sì! E non serve guardare lontano. Si pensi, per esempio, a un residente in una borgata sulle Alpi o Prealpi Carniche. Egli - a legislazione vigente e in fase di attuazione – è un cittadino del suo Comune, della Comunità montana, dell’Ente di decentramento regionale, della Regione, dello Stato italiano e dell’Unione Europea. Ciascuna di queste 6 (sei!) istituzioni dovrebbe assicurargli qualche servizio, prestazione, infrastruttura... E nonostante la ridondanza, l’acqua che un tempo gli forniva il Comune è ora gestita da una società per azioni (a capitale pubblico, s’intende) con sede altrove; le strade che un tempo erano di Comune o Provincia sono gestite da un’altra Spa (sempre pubblica) e probabilmente sarà una Coop sociale ad assicurargli i servizi di base… Per tutto questo - è inevitabile - bisognerà riprendere un dibattito per la riforma delle Autonomie locali in Friuli–Venezia Giulia. Sperando che, finalmente, non si voglia ancora… falâ di bessôi.
- Ubaldo Muzzatti