CITTA’ E TERRITORIO - Uniti ma distinti - amministrativamente - per il bene di tutti
Ubaldo Muzzatti prosegue l'analisi teorica delle articolazioni amministrative del territorio indicando elementi di criticità nei tradizionali modelli che privilegiano le città rispetto ai territori circostanti.
CITTA’ e TERRITORIO, QUALCHE DEFINIZIONE
- La città è un insediamento umano esteso, con concentrazione di popolazione e funzioni, dotata di strutture stabili; un'area urbana che si differenzia da un paese o un villaggio per dimensione, densità di popolazione, importanza o status istituzionale;
- Un territorio è un’area geografica vasta, soggetta a unica amministrazione o giurisdizione, statale, regionale, comunale, o di altro tipo, su cui insistono – normalmente – più insediamenti umani.
È vero che:
- ci sono città grandi e piccole e non è possibile fissare parametri univoci per definirle;
- che anche la città ricade entro un territorio;
- esistono città piccole che sono capoluogo e altre molto più grandi che non lo sono;
Ai nostri fini – semplificando, ma senza dimenticare i punti precedenti – in FVG consideriamo:
- città i capoluoghi della regione e delle ex province;
- territorio i paesi, villaggi, borghi, cittadine (non capoluogo di provincia o regione).
Non rileva, in questa sede, il titolo amministrativo di città assegnato ad alcuni, in base alle norme.
CITTA’ e TERRITORIO, DIFFERENZE OPPORTUNE (E INEMENDABILI)
Stabilito, schematicamente, quali sono le città e quali i territori, è indubbio che si tratti di realtà:
- diverse per dimensione, concentrazione di popolazione, edificazione e infrastrutture, spazi, aree verdi e naturali, contenitori e contenuti, …;
- con problematiche gestionali e amministrative differenti per molti versi;
- con esigenze di conduzione, di cure e investimenti affatto simili;
- persino atteggiamenti e mentalità dei residenti, pur formati dagli stessi curricoli scolastici e informati dagli stessi media palesano qualche differenza.
Non di meno le due realtà, città e territorio, sono indissolubili e complementari, reciprocamente indispensabili per la qualità di vita dei cittadini, ovunque residenti.
È interesse di tutti che:
- la città realizzi, si doti, sviluppi, organizzi, gestisca, offra i servizi, i contenitori e i contenuti che per tipologia e dimensione possono essere localizzati solo in un contesto urbano;
- il territorio realizzi, si doti, sviluppi, organizzi, gestisca, custodisca, quanto rende possibile la fruizione dell’immenso e insostituibile patrimonio, naturale e prodotto dall’antropizzazione, diffuso sul territorio;
- in entrambe le realtà si attuino politiche e pratiche amministrative, di erogazione dei servizi, di investimenti e gestionali specifici e, quindi, opportunamente differenziati per alcuni aspetti.
Non è la stessa cosa amministrare (nel senso omnicomprensivo del termine) una città o il territorio e abbiamo bisogno di città e comunità extraurbane gestite in modo ottimale.
Abbiamo l’esigenza di ottimizzare la gestione delle due realtà, nell’interesse di tutti, perseguendo uno sviluppo armonico e complementare. In alcune regioni ciò è realtà consolidata e a queste bisogna guardare.
RAPPORTO AMMINISTRATIVO TRA CITTA’ E TERRITORIO, DUE MODELLI BASE
Non dobbiamo farci distrarre dalle infinite varianti possibili. Il rapporto istituzionale tra la città e il territorio ha due soli modelli base:
- il modello centralistico (franco-napoleonico) accentrato – appunto - su un capoluogo e al quale il territorio è sottoposto, sino a perdere persino la sua denominazione per assumere quella della città (provincia di …);
- il modello federalistico (renano-danubiano) che pone sullo stesso piano le comunità grandi e piccole, realizza l’ente di maggiore dimensione con la federazione degli enti minori che lo costituiscono, riconosce e istituzionalizza la distinzione tra i grandi centri urbani e i centri minori sparsi sul territorio.
Il modello centralistico tende inevitabilmente ad accentrare le risorse e le attenzioni nel capoluogo, con un doppio esito negativo:
- abbandono, spopolamento, depauperamento del territorio, distruzione di valore (patrimonio abitativo, infrastrutturale, naturale e culturale abbandonato);
- inurbamento eccessivo e repentino della popolazione, espansione delle periferie e scadimento della città e della qualità di vita (inquinamento, traffico, rumore); duplicazione dei costi (patrimonio abitativo e infrastrutturale sostitutivo di quello abbandonato).
Questi fenomeni sono stati particolarmente marcati nella Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia; molto più che nella regione ordinaria Veneto, per esempio.
Ciò in quanto, come contrappeso al ruolo di capoluogo di Trieste, i friulani hanno ottenuto solo una discreta attenzione per i tre capoluoghi provinciali.
Il territorio, dalla montagna alla bassa friulana, dai borghi alle cittadine già fulcro del policentrismo regionale (Tolmezzo, Gemona, Cervignano, Spilimbergo, Maniago, …) ha avuto scarse attenzioni e poche risorse.
E le conseguenze si vedono! Basta guardare gli andamenti demografici dei comuni del territorio. Lo spopolamento – si badi bene – è l’effetto (delle disattenzioni) e non la causa del mancato sviluppo.
IL PROVINCIALISMO ITALIANO (UNA STORPIATURA DEL MODELLO FRANCESE)
L’Italia, per quasi due secoli, in pratica sino ai giorni nostri, ha imperniato l’articolazione amministrativa sulle province, originariamente sul modello centralistico francese (provincia = departement). Nel dopoguerra, con la Costituzione repubblicana sono state previste, e poi introdotte, le regioni. Come spesso succede in Italia, l’introduzione del nuovo ente non è stata accompagnata dalla soppressione, o almeno dall’adattamento, del precedente.
Recentemente lo Stato (legge “Del Rio”) e il Friuli Venezia Giulia (LR n. 26/2014) hanno legiferato per il superamento delle province e l’approdo a una diversa articolazione degli enti locali.
Sulle soluzioni adottate, per il superamento della provincia, sospendiamo il giudizio. Sulla necessità di superare le province, invece, non sussistono dubbi. In parte le ragioni di questa sentenza negativa sono già state esposte e altre se ne possono trovare.
Una, molto ben documentata, redatta in epoca non sospetta e da soggetto qualificato: la Banca d’Italia, si trova nella Working paper n° 823 del settembre 2011; titolo “Sull’ampiezza ottimale delle giurisdizioni locali: il caso delle province italiane”.
In quello studio, l’autore dimostra cosa è successo laddove sono state istituite nuove province (Lecco, Monza, Verbania, Pordenone, …). Tutta una serie di dati e analisi dimostra che a trarre vantaggio dall’istituzione della provincia è stato il capoluogo, mentre il territorio, al netto degli sviluppi generalizzati, è addirittura arretrato rispetto alla situazione pre-esistente.
E’, esattamente quello che è successo a Pordenone e … al Friuli occidentale. Ripeto: al netto degli sviluppi che economia, tecnologia, organizzazione, cultura ha portato a tutti.
Infine bisogna ricordare la storpiatura italiana al modello francese, operata dal R.D. Rattazzi n. 3072 del 23 ottobre 1859, che spiega perché, in fondo, i francesi abbiano potuto godere di una buona amministrazione territoriale, nonostante il centralismo insito nel loro modello. Infatti, a far da contrappeso ai 101 departements (province) in Francia hanno mantenuto un ruolo amministrativo, fondamentale per il supporto dei comuni (33.400 in tutto, quindi generalmente piccoli di quelli italiani) i 342 arrondissements(raggruppamenti omogenei di comuni, come i nostri mandamenti). La riforma Rattazzi ha soppresso ogni ruolo amministrativo dei mandamenti (salvo le Preture, soppresse solo qualche decennio fa).
Un altro presidio fondamentale del territorio francese è costituito dalla rappresentanza parlamentare. Infatti, i 577 deputati dell’assemblea nazionale sono eletti in 577 collegi uninominali. In questo modo anche il territorio minuto è concretamente rappresentato e non in balia dei macro collegi plurinominali in cui prevalgono gli interessi e la rappresentanza dei capoluoghi e marginalmente quelli del territorio.
UN MODELLO FEDERALISTICO PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO
È il modello vigente (con pochissime differenze sostanziali) in Germania, Svizzera, Austria; Province Autonome di Trento e Bolzano. Posto che come ovunque il Comune è l’istituzione di base questo modello prevede che l’ente immediatamente superiore (intermedio tra comune e regione/land/cantone):
- abbia caratteristiche di omogeneità geo-orografiche, socio-economiche, storico-culturali;
- abbia un’ampiezza sufficiente per erogare servizi e pianificare sviluppo e investimenti;
- sia costituito da un’aggregazione di comuni con prerogative federalistiche (delega e non cessione di funzioni e competenze; pari dignità degli aderenti; rotazione di sedi e incarichi di vertice, …);
- sia costituito tra “pari” ovvero operando la separazione dei grandi centri urbani e non sottoponendo a questi i territori circostanti;
- sia collegio per l’elezione dell’ente superiore, per la certezza della rappresentanza in esso;
- goda di autonomia e reale facoltà di scelta nelle materie assegnate;
- sia finanziato con parametri certi, in base a popolazione residente, estensione territoriale, imposte raccolte, singolarmente o in combinazione, secondo i capitoli di spesa.
Questa organizzazione degli enti locali è stata il fattore determinante (anche se non unico) dell’armonico sviluppo riscontrabile nei paesi e province citati. Laddove i fenomeni di depauperamento - evidenti in vaste porzioni del FVG - non ci sono stati.