Radio Spazio sulla tavola rotonda del 25 marzo
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Gjal e copasse", l’attualità in marilenghe condotta da Federico Rossi. In diretta il 26 marzo una puntata dedicata a "Occupazione e precariato & 50 della rivista Il ponte". Nella prima parte una intervista a Fulvio Mattioni (RilanciaFriuli) e Luigi Oddo (UIL) sul tema della tavola rotonda "FVG: SOS Lavoro, Occupazione e Precariato. Come andare oltre?"
Su radio Spazio, nell'ambito della trasmissione "
Calo dell'occupazione in FVG: sei idee per ripartire
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Articolo di Fulvio Mattioni pubblicato il 21 marzo 2024 sul "Messaggero Veneto" sulla rubrica "Idee" con il titolo "In regione cala l’Occupazione sei idee per poter ripartire".
⇒ Appuntamento a Udine lunedì 25 marzo 2024 per un approfondimento - Palazzo Antonini Belgrado ore 18:00.
Due batoste tremende in appena due giorni sul nostro povero Friuli !
La prima?
1664 milioni di euro di esportazioni persi nel 2023 rispetto al 2022 dalle ex-province di Pordenone (-5,1%) e Udine (-4,8%).
La seconda?
Una perdita occupazionale di oltre duemila addetti friulani, che si confronta con l’aumento di oltre 480mila lavoratori in Italia. Ma anche con l'aumento di 103mila addetti nel Nordest e di 190mila nel Mezzogiorno.
Insomma, se l’occupazione italiana vola in modo pressoché generalizzato, quella del nostro Friuli scava sottoterra. E, più in generale, il Fvg è l'unica regione a presentare un saldo occupazionale negativo che la relega al ventesimo posto... delle 20 regioni.
L'analisi condotta sull'insieme delle Province italiane ci dicequalcosa in più.
Come si legge la prima tabella, gli occupati a Nord Est?
Così: la provincia di Treviso (+6,2%) fa segnare la miglior performance occupazionale nordestina, fatto che le consente di occupare la 10° posizione nella classifica a 107 Province. Quella di Trieste (+1 ,5%) è 11° nel Nordest, e 55° in Italia; Udine (0,0%) è, nell’ordine, 16° e 79°; Pordenone (-0,7%) è 20° e 90° mentre Gorizia (-1,9%) è ultima a Nordest e 102° in ltalia.
Sono dati che fotografano una situazione assai diversa dal “va tutto bene, siamo i migliori" che ci regala l’informazione nostrana di fonte regionale nonché i politici che ad essa si rifanno.
Dove sta l’inghippo?
Nel lasciar intendere che i numeri relativi ai contratti di assunzione coincidano con il numero dei lavoratori assunti - cosa non vera perché un lavoratore può attivare diversi contratti nell’arco di tempo considerato e la loro somma non necessariamente coincide con un lavoratore a tempo pieno - mentre è vero che la crescita dei contratti è solo sinonimo di maggior instabilità e frammentazione della prestazione lavorativa. Del precariato, dunque, cosicché si capisce perché l’Inps abbia chiamato "Osservatorio sul precariato" i dati relativi ai contratti e “Osservatorio occupazionale" quello riguardante lavoratori.
Così non è affatto un caso se confrontando l'andamento dei contratti attivati nel 2023 (in Fvg) e quello degli occupati risulta che i primi aumentano mentre, come si è visto, i secondi flettono.
In sintesi, si nota:
- che i lavoratori attivi nell’industria in senso stretto calano del 4% nella media regionale ma con intensità maggiori nelle due ex-province di Trieste ed Udine;
- che il comparto edilizio ha chiuso con una perdita occupazionale pesante nella ex-provincia di Udine (le altre tengono ancora) e, infine,
- che il settore terziario offre un apporto complessivamente positivo.
Ragionando sulle prospettive nostrane di breve (1 anno) e medio termine (5 anni) meritano una sottolineatura alcune osservazioni.
La prima dice chela tenuta generale del settore terziario non è così rilevante ai fini della tenuta dell’intera economia.
La seconda segnala che all’interno del macrosettore terziario vi sono settori che lavorano per il settore industriale (la logistica, i servizi alle imprese, i servizi immobiliari, ecc.) e che rilanciare il settore industriale - che ha il vantaggio di pagare migliori retribuzionidell'economia privata - significa dare fiato a pezzi significativi del terziario.
La terza è un monito per chi pensa si possa vivere di solo commercio e turismo, perché pensa male. Ciò perché il commercio è calante a causa del decremento demografico che porta a minori consumi e perché il turismo regionale è gestito in termini di industria alberghiera quasi esclusivamente solo nell’area triestina, come dimostra il suo balzo nelle presenze turistiche che matura all’interno di un contesto regionale di stagnazione oramai ventennale.
Cosa serve per fronteggiare il declino occupazionale nostrano?
Diverse cose. Vale a dire:
1) partire da dati adeguati che chiariscano l’urgenza di intervenire con politiche economiche regionali pro occupazione e crescita sostenibile;
2) fronteggiare la piaga del lavoro povero e precario;
3) predisporre un pianodi rilancio del Fvg ed in particolare dell'area friulana;
4) proporsi il governo dell’immigrazione necessaria al mercato del lavoro e all’economia nostrana;
5) Rendersi attraenti verso i nostri giovani evitando che fuggano (senza ritorno) all’estero;
6) redigere un piano di formazione professionale quinquennale che abbia come obiettivo concreto l’inserimento lavorativo di una quota consistente dei 60mila lavoratori “inutilizzati” presenti in Fvg.
Per raggiungere il punto 1) dell’elenco RilanciaFriuli sarà presente con una sua analisi all'interno di un convegno che si terrà il 25 marzo a Palazzo Belgrado, alleore 18.00, che intende affrontare l'elenco completo dei problemi.
SOS Lavoro - Come andare oltre?
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Matteo Di Giusto Capogruppo Confindustria - Udine
Markus Maurmair Presidente II Commissione Consiliare
Massimo Moretuzzo Patto per l’Autonomia
Luigi Oddo UIL Udine
Massimilano Pozzo Partito Democratico
Michela Vogrig Presidente Legacoop FVG
Dirit a no jessi puars
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Zornade Furlane dai Dirits 2024 "Dirit a no jessi puars": Margherita Cogoi con Fulvio Mattioni e Alberto Barone. Par cure di Radio Onde Furlane
"Ai 27 di Fevrâr dal 1511 (la joibe grasse di chel an), al scomençave a Udin il riviel popolâr plui grant de storie furlane, inviât des miliziis contadinis furlanis (lis Cernidis) par rivendicâ i lôr #dirits antîcs e difindi la identitât cuintri dai nobii che ju tibiavin. Cognossude cul non di “Crudêl Joibe Grasse”, cheste rivolte e à segnât un moment di conflit sociâl une vore impuartant. Par chest, cualchi an indaûr, il Comitât 482 al à proponût che cheste date e vignìs ricognossude tant che “Zornade Furlane dai Dirits”(Arlef).
Non sparare sui poveri!
- Fulvio Mattioni
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Articolo di Fulvio Mattioni pubblicato sul Messaggero Veneto del 14 febbraio 2024 con il titolo "Assegno di inclusione - La povertà in Friuli"
2023: anno “nero” per i percettori dell’ex-Reddito di Cittadinanza (RdC) che dal primo gennaio di quest’anno si è trasformato nell’Assegno di Inclusione (AdI). Il RdC, infatti, è stato de-finanziato per oltre 1,4 miliardi di euro (-18,5% rispetto al 2022) e “diradato” con riferimento alla platea dei nuclei familiari e delle persone raggiunti.
Tutto ciò a fronte del tonfo patito dal Pil italico (0,7% nel 2023 rispetto al 3,9% del 2022 e all’8,3% del 2021) ed al conseguente balzo in alto dell’universo degli indigenti (oltre 5,6 milioni nel 2022 a fronte di 1,6 milioni nel 2005). Il suo de-finanziamento risulta ben evidente dalla semplice osservazione della tabella proposta.
Anno |
Importi erogati |
2019 |
3.695.029.948 |
2020 |
6.785.416.581 |
2021 |
8.396.213.286 |
2022 |
7.628.908.405 |
2023 |
6.215.546.356 |
2023-2022 |
-1.413.362.049 |
2023-2022 |
-18,5% |
Aumento degli indigenti si badi bene – non dei poveri che vivono al di sotto della soglia di povertà relativa – ovvero dei più poveri tra i poveri identificati come tali da parametri reddituali miserrimi.
Si è voluto “fare cassa” sugli indigenti mettendo mano alla decurtazione del sostegno agli “occupabili” di ben 5 mesi nel 2023, dai 12 mesi del 2022 ai 7 del 2023.
Come?
Manomettendo la definizione di “occupabilità” che la UE e l’OCSE considera occupabili coloro che negli ultimi 2 anni hanno avuto qualche rapporto di lavoro ancorché precario o occasionale. Definizione burocratico-statistica dalla quale giammai consegue - per l’Europa e l’Ocse - che gli occupabili non siano poveri poiché tale stato dipende dal reddito percepito.
La manomissione del RdC fatta dal Governo Meloni?
L’occupabile è colui che vive in una famiglia senza minori, senza disabili e senza over-sessantenni per cui non rileva se ha lavorato un solo giorno negli ultimi due anni e sia così diventato indigente. La povertà non viene identificata, come accade nel resto del mondo, dalla inadeguatezza del reddito guadagnato. Che, in Italia, è causata dall’espansione del lavoro povero e/o precario patita negli ultimi 20 anni ed attestata, anche, dal primato nostrano raggiunto in ambito europeo nella quantità di part-time involontario utilizzato dall’economia, dai quasi 4 milioni di lavoratori non tutelati da alcun contratto nazionale di lavoro, dalla proliferazione del contratti nazionali “fai da te” (per un totale di oltre 1.200!) e da forme contrattuali di lavoro “goccia a goccia” come, ad es., quello intermittente (triplicati i contratti attivati tra il 2014 ed il 2023) e quello stagionale (raddoppiati in 10 anni).
Risultato finale?
La diminuzione delle ore lavorate nell’economia italiana e nel nostro Fvg. La realtà, insomma, è che la numerosità dei lavoratori occupati è simile a quella del 2007 (anno pre-Grande Crisi) ma è altresì reale che lavorano meno ore e guadagnano meno. Come confermano le statistiche comunitarie riferite all’evoluzione del reddito medio annuo degli ultimi 20 anni calato, in termini reali, solo in Italia e Grecia.
Le conclusioni che se ne traggono? Almeno tre.
La prima è che la povertà è un frutto amaro della scarsità di lavoro e del suo impoverimento che dalla “Grande Crisi” in poi ha colpito con più intensità addirittura il laborioso Nord-Est ed il ricco Nord-Ovest rispetto al Centro ed al Mezzogiorno del Belpaese. La povertà, dunque, non è imputabile ad un presunto “poltronismo” degli italiani poiché, se fosse così, come spiegare la centralità assunta dal suo fronteggiamento nella politica comunitaria da 25 anni a questa parte? I risultati raggiunto dalla politica comunitaria? Non si è festeggiato il suo azzeramento nel 2010 come sperava la UE in avvio del millennio, ma i Paesi dell’Est Europa e la Germania, ad es., hanno ottenuto ottimi risultati mentre l’Italia, all’opposto, è stato leader negativo. Il motivo? Essere a lungo rimasta sorda ai pressanti inviti comunitari ad introdurre una misura di fronteggiamento ad hoc - il RdC parte appena il 1° aprile 2019 – e, venendo all’attualità, avendola indebolita poco tempo dopo.
La seconda conclusione rileva che nel biennio 2023-2024 non c’è stata l’auspicata “resilienza” attesa dall’utilizzo delle risorse veicolate dalla strategia Next-Generation EU”. Che, tuttavia, ha conseguito la “ripresa” dalla crisi pandemica del 2020 come evidenziato nei numeri proposti all’inizio. Per l’Italia, infatti, il 2023 si chiude con un Pil al più 0,7%, per il Fvg con una crescita inferiore e per il Friuli con una stagnazione. Il 2024, purtroppo, non sarà migliore posto che le stime di questi giorni propongono addirittura una limatura del magro +0,7% del Pil italiano ipotizzato qualche settimana fa. Ciò si rifletterà sul numero degli indigenti del 2023 (che l’Istat rendiconterà a giugno) con un aumento superiore a 500mila unità e che si ripeterà nuovamente nel 2024. Dati terrificanti (ahinoi!) nonostante scontino un discreto ottimismo.
La terza conclusione invita ad apportare due revisioni profonde dell’AdI: da un lato, un suo cospicuo ri-finanziamento dovuto al dimezzamento del tempo di residenza richiesto agli stranieri per l’accesso alla misura (ndr: imposto dall’UE la riduzione da 10 a 5 anni) che aumenterà i beneficiari stranieri e alla cancellazione della irrealistica interpretazione del concetto di occupabilità visto poc’anzi. Dall’altro, il coinvolgimento dei Comuni - mediante loro opportune aggregazioni - motivato della più adeguata conoscenza delle caratteristiche dei beneficiari e delle opportunità di inclusione sociale e lavorativa presenti nei loro territori.
Infine, una proposta finale che riguarda il nostro Fvg ed ha come finalità quella di recuperare il suo ruolo di pioniere/innovatore già svolto, in passato, con la l.r. 15/2015 che ha introdotto una “Misura di inclusione attiva e di sostegno al reddito” che ha il merito di aver anticipato la sperimentazione nazionale del Reddito di Inclusione ed il varo del RdC.
Come farlo?
Attraverso l’innovazione ed il rafforzamento dell’intervento nazionale grazie, anche, alla dovizia attuale finanziarie regionali.
Con quali modalità?
Con il varo di una legge che istituisce un fondo di 50 milioni capace di mitigare il fenomeno nostrano (ben 200mila i corregionali a rischio di povertà), che affida un ruolo di regia e di verifica alla Regione Autonoma Fvg e che prevede un protagonismo gestionale agli Ambiti socio-assistenziali.
Risultato finale atteso?
Una specialità Fvg inclusiva e coesa, da imitare.
Non è una sfida doverosa da raccogliere ed approfondire?
La priorità della specialità
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Articolo di Fulvio Mattioni pubblicato sul Messaggero Veneto del 9 gennaio 2024 con il titolo "Le Priorità Della Specialità"
Ha preso piede un dibattito sul Nordest italiano che merita di essere approfondito con dati ufficiali che aiutino a capire sia la sua reale performance economica che quella delle regioni che lo compongono al fine di capire meglio le politiche di sviluppo del nostro Friuli Venezia Giulia.
Iniziamo considerando i recentissimi dati resi disponibili dall'Istat sull'evoluzione del reddito prodotto dall'economia (Pil) nel periodo 2002-2022 e nel sottoperiodo 2008-2022 (assai più burrascoso) che ha lasciato un impatto profondo non solo nell'economia ma anche sulla demografia, sul mercato del lavoro e nel sistema del Welfare (Sanità in primis).
Ebbene, come possiamo verificare dalla tabella proposta, il Nordest rimane la macro-area italiana più dinamica del Belpaese ancorché con una intensità inferiore a quella del trentennio 70-90 dello scorso secolo.
L'evoluzione del suo Pil, infatti, non solo è positiva ma è anche nettamente migliore del dato medio italiano e delle altre macro-ripartizioni italiane.
Lo è sia che si consideri l'intero periodo 2002-2022 sia il sottoperiodo 2008-2022: nel primo caso il Nordest cresce del 12,1%, ovvero più del doppio del dato medio nazionale (5,5%), più del Nord-Ovest (9,7%), più del Centro (3,9%) e più del Mezzogiorno (-5,5%).
Nel secondo arco temporale [2008-2022] – che incorpora la "Grande Crisi" 2008-2014, la "ripresina" 2015-2019, lo "shock pandemico" 2020 e la "ripartenza" 2021-2022 sospinta dall'espansiva strategia comunitaria Next Generation EU – il Nordest cresce del 4,5% a fronte di un 3,7% del Nord-Ovest e di un calo del Centro (-4,3%) e del Mezzogiorno (-7,6%).
Il 2023 e il 2024 pongono pesanti ipoteche sulla raggiungibilità della auspicata "resilienza" della crescita economica – ovvero sulla sua durata nel tempo a ritmi intensi grazie agli investimenti strutturali posti in essere – cifrandosi in un aumento del Pil nazionale che è dello 0,7% nel 2023 e dello 0,7% nelle previsioni del 2024. La resilienza economica attesa, invece, era decisamente superiore dopo il buon rimbalzo del Pil del 2021 (+8,3%) e il +3,7% del 2022. Ed il dato nostrano non sarà migliore di quello medio italiano.
Come si comportano le quattro economie regionali del Nordest? Limitando l'analisi al solo periodo 2008-2022, si ha che il Trentino Alto Adige cresce del +15,5% (primo nella classifica delle 20 regioni nostrane), l'Emilia Romagna è terza (+5%) ed il Veneto è quinto (+2,5%). Il nostro Friuli Venezia Giulia? Negativo: -1,1%, risultato che media la crescita realizzata dalla ex-provincia di Trieste e la forte decrescita di Udine, superiore a quella patita dal nostro Mezzogiorno, performance che si completano con il più leggero calo delle ex-province di Gorizia e di Pordenone.
Risultato complessivo nostrano che trova spiegazione nella ritrovata missione terziaria di Trieste – all'interno della quale quali rilevano il quasi raddoppio delle sue presenze turistiche e la valorizzazione del suo porto – e la deindustrializzazione patita dalla ex-provincia di Udine.
Quali politiche di sviluppo del Nordest?
Per definirle rilevano 3 fatti:
1) le 4 regioni "pesano" assai diversamente (sia economicamente che politicamente) all'interno della macroarea Nord-Est (molto di più l'Emilia Romagna ed il Veneto molto meno il Friuli Venezia Giulia ed il Trentino Alto Adige);
2) che sono in concorrenza tra di loro soprattutto dal versante manifatturiero;
3) il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige, essendo "speciali", sono abituate a fare da sole e che le altre due regioni ordinarie vedono come fumo negli occhi le "speciali".
La conseguenza?
Ogni regione del Nordest pensa per sé e che vi sono interessi decisamente confliggenti.
Che fare, dunque, per il nostro Friuli Venezia Giulia?
Il compito prioritario è rilanciare il Friuli mentre la ex-provincia di Trieste lo sta già facendo (con successo). Per rilanciare il Friuli e le provincie di Udine e Pordenone serve un rilancio del manifatturiero che ha particolarità di pagare buone retribuzioni e di assumere personale qualificato (diplomati e laureati nostrani) che altrimenti cerca un futuro all'estero come dimostrano le statistiche sugli espatriati.
L'auspicio finale, dunque?
Che la specialità del Friuli Venezia Giulia valorizzi tutte le potenzialità di crescita non limitandosi ad andare a traino di un Nordest e che investa su un Friuli dal manifatturiero sostenibile ambientalmente invertendo la recente tendenza che:
1) ha bocciato l'investimento multimiliardario del gruppo internazionale Metinvest-Danieli;
2) ha negato l'investimento pubblico sull'unico porto industriale del Friuli Venezia Giulia (porto Nogaro, nell'area industriale dell'Aussa-Corno) e che
3) dedica la miseria di un milione di euro per attrarre imprese nel nostro Friuli Venezia Giulia.
La priorità per la nostra autonomia speciale, dunque?
Il Friuli protagonista nel Nordest. —
La specialità per rilanciare il Friuli
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Articolo pubblicato da Roberto Muradore sulla Vita Cattolica del 4 gennaio 2024 con il titolo
Prospettive per un il 2024 tra difficoltà e opportunità da sfruttare
La specialità per rilanciare il Friuli e la sua economia
Lo ripubblichiamo dal sito del settimanale La specialità per rilanciare il Friuli e la sua economia | La Vita Cattolica
Il futuro è da sempre carico di incognite e sorprese e in questa fase del tutto inedita prende corpo un di più di incertezza e di imprevedibilità che troppo spesso diventa addirittura paura.
Anche il 2024, quindi, ci farà vivere novità che sareb be sciocco voler “predire”. Come afferma Lucio Dalla nel suo famoso pezzo “L’anno che verrà”, è, però, opportuno attrezzarsi per affrontarlo. L’ultimo verso della canzone, infatti, recita così: “Io mi sto preparando, è questa la novità”.
Ma come prepararsi?
A parere mio leggendo correttamente il presente e, proprio grazie ad una sua onesta valutazione, dandosi aspettative possibili e formulando progetti utili e fattibili perché fondati e improntati a un sano principio di realtà.
Questo approccio dovrebbe valere per le persone e ancor di più per la politica che, altrimenti, scade nella oramai dilagante e insopportabile propaganda.
Basta con lo storytelling!
Chi governa edulcora la situazione giudicandola addirittura positiva e troppo spesso l’opposizione si limita a denunciare le cose che non vanno.
E nella nostra regione come stanno le cose?
Molto brevemente solo alcune questioni.
- È noto a tutti che i problemi economici e sociali non manchino e che nella ex provincia di Udine siano particolarmente acuti a causa dello stato in cui versa un manifatturiero da anni in affanno e la cui situazione si sta ulteriormente aggravando.
Le crisi aziendali che il sindacato deve affrontare si stanno moltiplicando.
Essendo l’industria il fulcro dell’economia e del lavoro friulano, essa va sostenuta con convinzione. Pare, invece, che la politica nostrana si sia innamorata del turismo che, come noto, concorre davvero molto poco alla creazione del Prodotto Interno Lordo (Pil) locale e che, a differenza del manifatturiero, è caratterizza to da lavori instabili, precari, ben che vada stagionali e comunque troppe volte mal pagati. Ho usato il termine mal pagati e non sotto pagati non perché i salari siano buoni, anzi, ma per ché è un settore nel quale il lavoro nero è, purtroppo, una realtà.
La vicenda della ipotizzata acciaieria a San Giorgio di Nogaro, inoltre, ha ben evidenziato una crescente attenzione, per altro positiva e necessaria, ai temi ambientali e ha, però, alimentato, non so quanto involontariamente, un preoccupante sentimento anti industriale. E la politica non ha ben figurato in quanto una parte ha tenuto un comportamento contraddittorio e l’altra era come “bloccata”. Al netto dell’acciaieria non realizzata, mi preme ricordare che quella di San Giorgio di Nogaro è e resta una importante zona industriale che va potenziata e migliorata nelle sue infrastrutture per facilitare le imprese che già vi insistono e per renderla attrattiva per nuovi investitori. O non serve più lavoro industriale tutelato contrattualmente, retribuito decentemente e puntualmente?
Se la Regione non dovesse provvedere a stanziare le risorse necessarie a tal fine paleserebbe il suo disinteresse per il manifatturiero e, anche considerando i suoi impegni in altri territori, mancherebbe di rispetto al Friuli.
Ancora, non è accettabile che ci si arrenda all’idea che il declino economico sia ineluttabile.
Le imprese, anche quelle che offrono condizioni contrattuali sufficienti o buone, a volte non trovano personale? Si spinga di più su una formazione da progettare con le imprese e che alla fine del percorso dia una reale occupazione. Formazione in aula e nei luoghi di lavoro che dia una prospettiva agli “sfiduciati” nostrani e che coinvolga anche gli immigrati poi ché senza il loro concorso le aziende non ce la possono fare. Non è per nulla detto, infatti, che gli immigrati possano fare solo quei lavori umili (?) che gli italiani non fanno più.
Le tante risorse che la regione ha avuto e che avrà a disposizione dovrebbero, sempre a parer mio, essere utilizzate non solo in bonus e altri interventi parcellizzati, ma per iniziare a dare soluzioni strutturali e durature. Per fare ciò ci vuole un’idea di Regione che, però, non c’è ancora. La nostra è una Regione a Statuto speciale e potrebbe davvero legiferare bene e in modo organico su tante materie quali l’ambiente, l’energia, l’acqua, l’agricoltura, il lavoro, la povertà, l’industria, ecc…. La specialità va pensata e praticata, non predicata. Vedo e sento sempre più spesso, invece, scrivere e parlare di Nord Est. A dir la verità, così come non avevo capito cosa fosse la Padania, non riesco a comprendere neppure questo fantomatico Nord Est che mi pare metta insieme territori e regioni sì vicini geograficamente ma assai diversi culturalmente, socialmente ed economicamente.
Chiudo con l’auspicio che si arresti al meno in parte l’emigrazione dei nostri giovani fuori regione o all’estero. I giovani friulani non sono sfaticati, come vorrebbe un diffuso luogo comune, e con i loro trolley partono perché qui non trovano occasioni d’impiego adeguate. Neppure decenti.
Mi fanno venir in mente, sebbene le condizioni siano assolutamente diverse (infatti allora partivano con improbabili valigie), il “libars di scugnî lâ” di Leonardo Zanier.
La classe dirigente locale deve sul serio rimboccarsi urgentemente le maniche ed operare perché, come recita il penultimo verso della canzone di Dalla, “l’anno che sta arrivando tra un anno passerà”.
E sono tanti, troppi gli anni già persi.
Roberto Muradore
ex sindacalista
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